L’amore è la più irrazionale e incomprensibile delle pulsioni umane e bisogna essere comprensivi con chi ci finisce dentro. Alla fine della fiera, Asako I & II - il film di Ryusuke Hamaguchi in concorso al festival di Cannes - è un racconto morale sotto forma di film romantico in cui l’interesse sta nel dissidio tra la storia narrata e il tono che il regista utilizza.

Perché di suo il film racconta una storiella al confine della stupidaggine: una ragazza s’innamora di un ragazzo bello e tenebroso, ma dopo un po’ sparisce. Qualche anno dopo si incontrano di nuovo, ma lui non è quel ragazzo, ma un altro identico al primo. Il loro amore dura finché il primo ragazzo diventa famoso e si ripresenta da lei: che fare? Assieme a Sachiko Tanaka, Hamaguchi adatta un libro di Tomoka Shibasaki traendone un film sentimentale che galleggia tra melodramma irrazionale e commedia di caratteri, tra Hong Sang-soo e amour fou.

Quello che incuriosisce di Asako I & II è il modo in cui Hamaguchi decide di raccontare, le scelte narrative e stilistiche: lunghi dialoghi comuni e banali intervallati da piccoli misteri che spostano l’attenzione dello spettatore, snodi apparentemente vacui e casuali che anticipano dei crescendo inaspettati. Hamaguchi coltiva un curioso senso di spaesamento nel fondo di una normalità fin troppo esibita e di un’ingenuità poco credibile da parte dei suoi personaggi e questo spaesamento ricorda da vicino il tono del sogno (come dice anche Asako parlando col vecchio amante), quel modo di confondere le acque rimanendo limpido e chiarissimo proprio del “racconto onirico”.

È un film del tutto scombinato, che non sai mai dove voglia andare a parare, che non gioca fino in fondo coi propri elementi costitutivi né cerca davvero l’emozione dello spettatore, ma lavora di continuo e in modi anche incomprensibili ma affascinanti sulle pieghe della narrazione, sui risvolti inconsueti nell’approccio ai personaggi e alle loro azioni. E alla fine lascia di certo con un nulla di fatto ma anche con un senso di tenerezza e curiosità nei quali si sente la mano di un regista vero, anche se sconclusionato.