Un lungo viaggio verso la notte. Quello di quattro figli, tre uomini e una donna, costretti a convivere per un pur breve lasso di tempo per esaudire l’ultimo desiderio del padre appena morto, essere sepolto in un villaggio remoto.

Il buio è quello delle loro anime, rese oscure da rancori nascosti e colpe inconfessabili. Tutti infatti hanno qualcosa di cui pentirsi e pure da recriminare agli altri, chi perché si è preso da solo  cura dell’anziano padre e chi perché sconta la scelta di essere sfuggito  alle proprie responsabilità.

As I Lay Dying non rivela mai se davvero uno dei fratelli abbia da farsi perdonare peccati veramente gravi, preferisce mantenere l’ombra del sospetto alimentando un’atmosfera cupa in cui il cadavere del padre spostato di continuo è la materializzazione dei pensieri oscuri dei protagonisti.

Il regista Mostafa Sayari gioca di metafora, lavora visivamente su campi lunghi e inquadrature perfette dimostrando già al primo film di conoscere a menadito le regole del linguaggio cinematografico.

Un esordio notevole, ennesima testimonianza della ricchezza e della capacità di rinnovamento del cinema iraniano.