Ma il mèlo qui e ora è ancora possibile? Risponde, audio-video, Ferzan Ozpetek, che presentendo l'andazzo titola: Allacciate le cinture. A produrre Tilde Corsi e Gianni Romoli (che ritorna a scrivere con il regista), protagonista è Kasia Smutniak: famiglia bene ma decaduta, fa la barista a Lecce, ha un amico barista gay (Filippo Scicchitano) e un'amica barista etero, nonché un fidanzato (Francesco Scianna). Insomma, ha quasi tutto, ma irrompe omofoba, grezza e ferina la novità: Francesco Arca – sì, l'ex tronista – che sta con la Crescentini. Per quanto? Fatale è una birretta alla spina trangugiata tutta d'un fiato: dall'altro lato del bancone, Kasia non può nulla. Dopo la grande sete (Arca), la grande fame: Kasia lo segue. Moto, senza casco, vanno al mare, e all'amore.
13 anni dopo, stanno ancora insieme, hanno due figli, e vanno abbastanza bene, abbastanza: lei ha un cancro, lui guarda fuori casa, a cintura slacciata. Sì, dramma, melodramma, ridere, piangere e ancora piangere, che per frullare vita, tempo, malattia, sentire e sentimento servono i liquidi: allacciate le cinture, sciogliete le lacrime, e gli aficionados di Ferzan compiti seguiranno, fazzoletti agli occhi.
Eppure, tanta roba, troppa roba, caro Ferzan: tagliate, a colpi d'accetta, sono solo le psicologie, le dinamiche relazionali, l'incontrarsi uomo-donna, con dinamiche che manco Malena (versione spot di Dolce&Gabbana, ovvio), che la passione ha delle passioni che questo cinema enfatizzando, se non ridicolizzando, disconosce.
Tutto il resto, i tagli non li sopporta, proprio no: eros e thanatos, ragione (sì?) e detrimento, sogno o son desto o son malato, su nulla si lesina. Fino al paradosso: le cinture sono allacciate, ma, caro Ozpetek, dove andiamo? Non nelel contraddizioni, non nel caos, non nell'essere qui e ora, no: per lui si va nell'Italia indolente.