L’India mancava dal Concorso di Cannes da trent’anni, ovvero da Swaham (1994) di Shaji N. Karun: il digiuno è terminato con All We Imagine As Light, il lungometraggio d’esordio della regista di Mumbai Payal Kapadia, che tre anni fa sulla Croisette aveva vinto l'Œil d'or per il miglior documentario con A Night of Knowing Nothing.

Tocco poetico, voltaggio politico e spin – e te pareva... – femminista, frulla amore ed emancipazione, raccontando le convergenze parallele di due infermiere coinquiline a Mumbai, la più giovane Anu (Divya Prabha) e Prabha (Kani Kusruti): la prima cerca invano un posto per stare in intimità col proprio ragazzo – mentre la famiglia le combina in matrimonio; la seconda riceve un regalo inaspettato dal marito che lavora in Germania e da tempo non si fa sentire. Un viaggio nella località costiera Ratnagiri permetterà alle due donne di affinare la sintonia e, ancor più, di manifestare i propri desideri, sogni e speranze.

Kapadia lavora nella prima parte sulla stagnazione e l’afflizione delle due infermiere, prostrate da una routine senza futuro, al contempo, sa trarre accostare allo studio piscologico dei caratteri l’analisi sociopolitica, per denunciare le disuguaglianze di genere, classe e religione radicate nel Paese.

Coproduzione franco-indonesiana, All We Imagine As Light – bellissimo titolo – ha coraggio stilistico, lasciando la camera libera di contemplare realismo e fughe in avanti dell’immaginazione e dell’astrattismo, e guadagno empatico, accarezzando le vite di donne non illustri con la cura, la premura e il pudore che meritano – una scelta eminentemente politica.

Non c’è manifesto ideologico, piuttosto una diaristica – riversata nel procedere per sottrazione, attesa e slittamento – che eleva il privato a potenza pubblica, per dire di due tutti, di due l’India: non ha fretta, Kapadia, ascrive al quotidiano e “dal basso” la sua stessa affabulazione, al cinema l’ausculto – stetoscopio indice… – della realtà, senza disattenderne i dati grezzi e, insieme, concedendosi spunti immaginifici à la Weerasethakul.

La sua misura può essere trascurata, il minimalismo sentimentale sottovalutato, le stesse denotazioni politiche rimaneggiate, ma All We Imagine As Light è una luce nella pioggia, una speranza nel buio, un film nella terra – e di qui il mare - di nessuno tra costrizione e anelito.