Tra la nebbia di Bradford, città industriale nel cuore dello Yorkshire, Alì, interpretato da uno splendido Adeel Akhtar, sale sul tettuccio della sua macchina e inizia a ballare.

Il cappuccio scuro gli copre il capo, le cuffie, parte integrante della sua personalità, premono sulle orecchie e la musica – I Know (Marot Remix) di Onipa – diviene l’eco dell’intera scena.

Stacco. La mdp si concentra su di lei, Ava (Claire Rushbrook); i colori si attenuano, si mostrano i suoi occhi azzurri, il colore biondo dei suoi capelli e il taglio aspro dei suoi lineamenti da attempata donna inglese del Nord.

Le cuffie per Alì, bigiotteria carica per Ava.

I due si incontrano nelle strade di Bradford, si aprono l’un l’altro, si mettono a conoscenza delle rispettive perdite (un figlio nato morto e un matrimonio in crisi per Alì; la frattura con il figlio e il tentativo di risanarla aiutando le figure più fragili della comunità come la vicina bipolare e la figlia autistica degli immigrati cecoslovacchi per Ava) fino allo sbocciare di un sentimento che, naturalmente, arde e si consuma velocemente quando arriva il momento per entrambi di incontrare i propri demoni che emergono dal passato caliginoso dello Yorkshire.

La pellicola dell’inglese Clio Barnard (The Selfish Giant, 2013) sta tutta qui, nell’incrocio di due figure marginali nella brughiera inglese rarefatta, immersa nella bruma e nella nebbia. L’immigrato arabo, assieme a tutta la famiglia, in una Nazione che non è più neanche Europa, e la donna che è stata bella, procace, madre e che ora, anziana, colleziona rimpianti: un marito alcolizzato e violento, una laurea in criminologia mai portata avanti.

Amori, lavori, famiglie che potevano essere e non sono stati.

Nella provincia britannica della regista, le storie personali di ognuno vengono a galla grazie ad un amore che nasce prima di tutto come amicizia, necessità di ritrovare un simile nel meteo grigiastro che, significante del suo paese, rende sempre più difficile scorgere i profili.

Nessuna pesante morale per Alì e Ava o una regia particolarmente ardita per la Barnard, solo una piccola storia di dolcezze, incontri, piccole grandi prese di coscienza e maturità (ad essere sinceri, dall’intreccio che tende molto spesso alla semplificazione) che giunge alla sua naturale  – forse un po’ scontata e veloce – soluzione.