Il tocco del peccato - A Touch of Sin

Tian Zhu Ding

4/5
Dalla Cina con furore: la società contemporanea secondo Jia Zhang-Ke. Brutale e geniale, in Concorso

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CINA 2013
Uno sguardo sulla Cina contemporanea attraverso le vicende di quattro personaggi: Dahai, minatore esasperato dalla corruzione dei dirigenti del villaggio, decide di agire; San'er, un lavoratore emigrante tornato a casa per la fine dell'anno, scopre le infinite possibilità offerte dalla sua pistola; Xiao Yu, receptionist in una sauna, si vede costretta ad arginare ad ogni costo le avance di un cliente facoltoso; Xiao Hui passa da un lavoro all'altro in condizioni di sempre più degradanti. Il ritratto che ne esce è quello di una società in via di sviluppo economico, ma brutale e violenta.
SCHEDA FILM

Regia: Jia Zhang-Ke

Attori: Jiang Wu - Dahai, Wang Baoqiang - Zhou San, Zhao Tao - Xiao Yu, Luo Lanshan - Xiao Hui, Zhang Jiayi - innamorato di Xiao hui, Li Meng - Lianrong

Sceneggiatura: Jia Zhang-Ke

Fotografia: Nelson Yu Lik-wai

Musiche: Lim Giong

Montaggio: Lin Xudong, Matthieu Laclau

Scenografia: Liu Weixin

Altri titoli:

A Touch of Sin

Durata: 133

Colore: C

Genere: DRAMMATICO

Specifiche tecniche: ARRI ALEXA M/ARRI ALEXA STUDIO, CODEX ARRIRAW (1:2.40)

Produzione: XSTREAM PICTURES, OFFICE KITANO INC., SHANGHAI FILM GROUP CORPORATION, SHANXI FILM AND TELEVISION GROUP, BANDAI VISUAL, BITTERS END

Distribuzione: OFFICINE UBU

Data uscita: 2013-11-21

TRAILER
NOTE
- PREMIO PER LA MIGLIOR SCENEGGIATURA AL 66. FESTIVAL DI CANNES (2013).
CRITICA
"Alla ricerca di una via che eviti il martirio, Jia Zhang-Ke offre in saldo quattro episodi, con agghiacciante prologo in motorino per raccontare la crisi della società cinese nella provincia mineraria dello Shanxi: stili appropriati, dolorosi e precisi. Quattro ritratti d'infelicità aggiornati a oggi di un paese ormai allineato alle frustrazioni nostrane con gran raccolto di solitudine, indifferenza, infelicità. (...) Si fanno i conti con una società in fieri ma con morale già mutata, corruzione e volgarità ai tassi di cambio di quell'Occidente in crisi irreversibile, tanto che l'avidità regna sovrana sul consumo di auto e telefonini. E se 'Miss Violence' inizia con una ragazzina che si butta dal balcone, qui nell'ultima scena un giovane la imita azzerando il futuro. L'autore dice trattarsi di un «wuxiapan» (cappa e spada) di oggi ma con una violenza del tutto insensata in un paese ufficialmente in progress ma dove già è stata scoperta la mortale infezione dell'indifferenza e una inesauribile, esistenziale, sete di rivalsa e vendetta su tutto." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 21 novembre 2013)

"Anche se da noi il cinema di quel Paese si è sempre visto poco, è probabile che 'le Monde' non abbia avuto torto nel definire 'Il tocco del peccato' «uno dei più bei film cinesi di tutti i tempi». Però la Cina non potrebbe vantarsene, perché vi è descritta come un inferno di violenza e disperazione, da cui ogni traccia di umanità pare ormai cancellata. E tantomeno potrebbe menarne vanto sapendo che i quattro episodi di cui è composto il film sono tratti da reali - e sanguinosi - episodi della cronaca recente. (...) Vincitore del Leone d'oro a Venezia nel 2006 con il suo 'Still Life' (unica opera del regista arrivata nelle sale italiane), Jia Zhang-Ke racconta la Cina odierna in questo film prodotto dall'Office Kitano e premiato per la sceneggiatura all'ultimo Festival di Cannes: un Paese portato alla rovina dall'unione incestuosa tra comunismo e capitalismo selvaggio dove prevaricazione, corruzione e sfruttamento non sono eccezioni ma regola quotidiana che devasta la vita della gente. Soprusi ai quali tutti e quattro i personaggi principali della tetralogia si oppongono; ciascuno a suo modo però sempre con esiti distruttivi. Il cineasta compone un'opera di grande respiro, ambientata in quattro diverse città (Shanxi, Chongqing, Guandong e Hubei) ma le cui parti sono collegate tra loro, specie nel prologo e nell'epilogo, da fili sottili. Il primo episodio è abbastanza sorprendente per chi avesse visto il delicato 'Still Life': truculento e tinto di humour nero, sembra girato dalla cinepresa di un Quentin Tarantino orientale. Nei successivi, pur nella violenza di rispettivi avvenimenti, affiora la poetica dolente del cineasta; cui questa volta, però, si affianca una dose di autentica indignazione. In ogni caso lo stile della rappresentazione resta perfettamente controllato ed elegante, le inquadrature sono composte con cura, i movimenti di macchina misurati e precisi nella preziosa fotografia del cinematographer di fiducia del regista, Yu Lik-wai. La descrizione del devastato panorama morale della Cina di oggi lascia sbalorditi e amareggiati, mentre alcune scene emblematiche si installano nella mente dello spettatore. Come quella del night in cui una squadra di belle fanciulle in (succinte) uniformi da Guardie Rosse sfila davanti ad anziani clienti tra il divertito e l'eccitato. Un modo duro di dirci come è finita quella rivoluzione maoista che un tempo ebbe sostenitori entusiasti anche in Occidente." (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 21 novembre 2013)

"Disoccupati che si improvvisano giustizieri. Folli che vagano in motorino sotto la neve uccidendo balordi. La timida impiegata di una sauna (la straordinaria Zhao Tao, l'attrice di 'Io sono Li'), pestata dalla moglie del suo amante, che uccide a coltellate due prepotenti, come l'eroina di un film di arti marziali. Un giovane operaio emigrato nel prospero Sudest, zona economica speciale, che disgustato da corruzione e marchette decide di farla finita. Storie vere dalla Cina di oggi, esasperate accumulando stili, spunti, eccessi, materiali e formali. Le Maserati dei nuovi ricchi e la miseria degli eterni poveri, tradizioni magiche e modernità feroce, templi buddisti e escort vestite da guardie rosse. Lirico, pulp, commosso, crudele. Bellissimo. E molto ambizioso: un film solo per abbracciare in un unico sguardo la nuova Cina." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 21 novembre 2013)

"In Cina, nella transizione dal comunismo al capitalismo, nulla cambia sul fronte di un sistema che prima alimentava la violenza individuale in nome della collettività, e ora in nome del profitto. Vincitore nel 2008 del Leone d'oro con 'Still Life', Jia Zhang-Ke torna in 'Touch of Sin' a raccontare l'allarmante paesaggio umano e sociale di un paese in crescita caotica: catapecchie miserabili e svettanti grattacieli, miniere di dickensiana cupezza e fabbriche ultratecnologiche, ricca oligarchia e masse povere. (...) L'ambientazione è interessante, il cineasta abile a giocare queste sordide storie ispirate alla cronaca su un filo di brechtiana ironia: ma stavolta l'affresco risulta meno incisivo e la corda emozionale non scatta." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 21 novembre 2013)

"Nella Cina contemporanea quattro personaggi per altrettanti episodi desunti dalla cronaca vera incarnano la profonda disumanizzazione del Paese più 'in progress' del mondo. (...) Nell'affrescare un individualismo dai tratti irreversibili, il talentuoso Jia Zhang-Ke (Leone d'oro a Venezia nel 2006 per 'Still Life') s'interroga sul drammatico futuro della Cina pervasa dal 'peccato originale' di aver (già) smarrito una propria coscienza collettiva. Film di straordinaria potenza visiva e narrativa che lavora con sapienza sugli spazi reali e metaforici. Premio alla sceneggiatura a Cannes 2013 dove di certo meritava di più." (Anna Maria Pasetti, 'Il Fatto Quotidiano', 21 novembre 2013)

"Ne 'Il tocco del peccato', premiato a Cannes per la sceneggiatura, Jia Zhang-Ke racconta in quattro episodi di cruda lucidità le trasformazioni della Cina moderna tra corruzione, violenza, disagio esistenziale e alienazione sociale. Ne emerge un doloroso atto di accusa contro un paese che calpesta valori tradizionali e morali in nome del denaro che però non riesce a comprare un futuro migliore." (Alessandra De Luca, 'Avvenire', 21 novembre 2013)

"Crudele e cupo dramma cinese, in quattro episodi, che provoca un persistente senso di angoscia. (...) Dietro la terribile violenza, fisica e psicologica, si contano i morti: dodici (nove solo nella prima tranche) e un suicidio. Può bastare." (Massimo Bertarelli, 'Il Giornale', 21 novembre 2013)

"Piacerà a chi non conosceva ancora Jia Zhang-Ke (ora lo conosce, è uno dei narratori più potenti dell'estremo oriente). E a chi voleva farsi un'idea del presente della seconda potenza industriale del mondo. Dal film sembra chiaro. Assomiglia sempre più alla prima (gli Usa). La violenza regna sovrana e non ha sempre bisogno di motivazioni." (Giorgio Carbone, 'Libero', 21 novembre 2013)

"Omaggio, e non solo nel titolo, al grande maestro del cinema cinese King Hu, re del filone wuxia, e al suo 'Touch of Zen', ne «eredita» anche la tensione per una forma narrativa appassionante e aderente ai conflitti storico politici del presente e del passato. 'Touch of Sin' è un film a episodi: quattro storie di vendetta proletaria ispirate a recenti fatti di cronaca accaduti in Cina, che la narrazione di Jia accorda con un senso musicalmente stridente al segno delle lacerazioni di un paese in cui la crescita del Pil è direttamente proporzionale a quella dello scontro sociale e dei tumulti. Cosa è quel «tocco di peccato» disseminato nella macchina neocapitalista globale? Il respiro incessante del lavoro in un paesaggio mai inerte, in cui il corpo è acceso 24 ore su 24, in fabbrica o come strumento di piaceri, a coltivare la terra o a pulire le verdure. «Dove vuoi andare - dice un ragazzo all'amico che sogna la fuga nell'altrove - Il mondo è in crisi ovunque». Nessuno sembra fermarsi mai nella «nuova» realtà di ricchezze e miserie, lusso sfrenato e sopportazione silente che asseconda l'ambizione di conquistare un giorno «anche io» qualcosa. Però ci sono limiti che nessun essere umano può sopportare, oltre i quali o si rivolta collettivamente o reagisce in solitudine. Ma in questa specie di moto continuo cosa significa - se ha ancora un senso - «rivoluzione»? Il rapporto a distanza tra le storie e la Storia, è al centro del cinema di Jia dal primo film, 'Pickpocket' (1997), al cui protagonista, il giovane ladro emarginato, questi personaggi somigliano: vivono infatti la stessa incapacità di «adeguarsi» al sistema sociale, che scivola nell'esasperazione. A differenza di lui, e degli altri però, i protagonisti di 'A Touch of Sin' (coprodotto insieme a Takeshi Kitano) reagiscono, rispondono alle vessazioni con una violenza surreale, e ferocemente politica. È la lezione del buddismo «zen» (assimilata da King Hu ma anche da Tsui Hark e da Kitano) come filosofia del combattimento, della prassi, della comunicazione individuale e collettiva. Insieme alle antiche tradizioni culturali e marziali (il teatro e la letteratura popolare, gli artisti di strada, il tempio di Shaolin...) che continuano saldamente nella loro funzione di «provocare» la giustizia. La sfida dunque è alta, e semplice insieme: si tratta di iniettare la spettacolarità politica dell'immaginario nella realtà quotidiana per denudarne l'oppressione feroce. (...) Western, romanzo storico-popolar-criminale, opera tradizionale, 'A Touch of Sin' declina il «wuxia» al presente: dal nord al sud della Cina, lo Shanxi, lo Hubei, il polo manifatturiero di Guagngdong, e le megalopoli di Chongqing, i protagonisti scoppiano all'improvviso, bombe deflagranti di una miseria velata nel denaro, sintomi di un malessere diffuso in quell'attività senza tregua. Ci parlano dei pericoli nascosti nell'improvvisa prosperità e nelle trasformazioni traumatiche di campagne e città, tra cemento, polvere nera delle miniere, fabbriche squadrate che somigliano a scatole delle scarpe. La geografia quotidiana di Jia non conosce retorica o sentimentalismi. Ci porta nei mercati, tra gli animali, veri o sognati che possono suicidarsi, o mimetizzarsi (come in un film di Bruce Lee) tatticamente nel filo dell'orizzonte. Fissa lo sguardo prolungato dell'uomo che osserva la bimba prima di sgozzarle l'amata papera. Si sposta nelle archeologie industriali, in cui la collera è sprezzo per la dignità che i ricchi ovunque siano - lo stesso regista si riserva il ruolo di un cliente del locale - esercitano. E la «sua» Cina racconta qui, in questi conflitti, il senso del capitalismo oggi, denominatore comune di un tempo in cui la ribellione può rimanere sola. O diventare, appunto, rivoluzione. Tutta da inventare." (Cristina Piccino, 'Il Manifesto', 21 novembre 2013)

"La Cina contemporanea e un universo narrativo ancora sconosciuto e misterioso, come il futuro verso il quale sta andando. Sono pochi, vista la dimensione dell'evento, i film che ci hanno fatto fare esperienza della grande trasformazione sociale, economica e culturale che la Cina ha impresso alla sua recente storia. Alcuni registi stanno provando a tracciare questa parabola, talvolta partendo da lontano, talaltra arrivando al centro del sisma. Uno di questi è sicuramente il maestro Jia Zhang-Ke, autore di grandi film a soggetto, tra cui 'Platform' (che lo aveva rivelato nell'edizione veneziana del 2000) e 'Still Life' (con il quale vinse il Leone d'Oro) e regista di imponenti documentari con i quali è riuscito a penetrare ancor di più nelle dinamiche della società cinese. Arriva in Italia quello che forse è uno dei suoi film più belli, premiato nell'ultima edizione di Cannes con la miglior sceneggiatura. Fin dal titolo, 'A Touch of Sin' (che richiama il più famoso 'A Touch of Zen' del maestro King Hu, chiaramente omaggiato) è un film imponente e maestoso, capace di calarsi nel ventre della Cina contemporanea e delle sue contraddizioni. Un viaggio doloroso ed epico che incrocia le vicende di quattro personaggi costretti alla violenza come forma di ribellione e di recupero della dignità. Le storie si ispirano a fatti di cronaca accaduti in quattro diverse regioni. (...) Jia Zhang-Ke traduce, a modo suo e con grande coerenza, la tradizione del film d'arti marziali (cui si ispira) e la usa come sfondo estetico per raccontare le contraddizioni della Cina contemporanea. Meraviglioso e inquietante." (Dario Zonta, 'L'Unità', 21 novembre 2013)

"'Il tocco del peccato' (...) ha la firma di Jia Zhang-Ke già Leone d'oro a Venezia per 'Still Life' mentre questo suo vero capolavoro si è accontentato a Cannes 2013 della Palma per la sceneggiatura. Probabilmente troppo poco per un film che possiede, all'interno di una esemplare e perfetta circolarità narrativa, la folgorazione di una genialità rappresentativa che mosaica gli echi fantastici dell'avventura cappa e spada da arti marziali (il genere wuxia pian) con il piacere del paesaggio, l'apologo contemporaneo con il riflesso dell'antico teatro morale. Una scansione a quattro spartiti: il minatore contestatario che si farà giustizia a colpi di fucile sui maggiorenti e sugli imprenditori ladri; un lavoratore costretto a vagare di regione in regione scopre la rapina per mettere insieme il pranzo con la cena, suoi e della famiglia; una addetta all'accoglienza di una sauna erotica deve uccidere un cliente per ribadire di non essere una prostituta; un giovane operaio prova a trasformarsi nel cameriere di un bordello di lusso ma l'unica via di fuga sarà rappresentata da un salto nel vuoto. Dominano il sangue e la violenza in un contesto di corruzione politica e di avidità. La pietà si è dissolta perché per alleggerire chi esce da una banca non basta la minaccia della pistola ma il buco in testa e in pancia così come il rivoltoso con un fucile inguainato nel ritratto di una tigre mette in fila per la strage la scala gerarchica dei depredatori del villaggio. Sembra Tarantino, ma è più Peckinpah nell'evidenza rituale dell'annientamento, nei corpi che rimbalzano all'indietro sotto la spinta delle pallottole. Una violenza totale che Jia Zhang-Ke espone ma controlla con l'energia, l'eleganza e il realismo di uno stile che costruisce un cinema di scarlatta evocazione senza espellere umorismo e umanità. 'Il tocco del peccato' mostra la Cina come mai è stata proiettata sullo schermo, tagliata al vivo dalla sue contraddizioni laceranti e fatali, fissata ad una contemporaneità dove il capitalismo di Stato e quello privato non si differenziano, dove l'emigrazione interna è una piaga che è l'altra faccia della libertà d'impresa, dove una società si sviluppa in tonalità brada. E i personaggi, anche per interpretazioni di attori dalla drammaturgia di morsa ferrea e talentuosa, si stagliano su un palcoscenico reale, di strade rurali, di sobborghi, di città caotiche, di treni ad alta velocità, di ritrovi dove le escort ballano, vestite da soldatesse, al ritmo dell'Internazionale. Anche i movimenti, e persino gli sguardi e i silenzi, corrispondono ad un preciso progetto coreografico come se fossero le maschere di quelle opere che Jia Zhang-Ke non dimentica di filmare in una piazza o all'angolo di una via, alla stessa maniera con la quale la macchina da presa coglie la presenza degli animali. Tutti, a loro modo e in piena diversità, sono eroi ed antieroi fieri del proprio indomito desiderio di una piccola serenità, indocili, impazienti o votati all'auto-distruzione per un lampo estremo di dignità. Lo sguardo di 'Il tocco del peccato' è feroce e non potrebbe essere altrimenti nell'alternarsi di calma e frenesia ma sempre con la tempesta sopra il capo. L'icona che non si dimenticherà è la Leone d'oro receptionist della 'Sauna dell'avventore notturno' che con la lama sguainata si muove proprio alla stregua di una guerriera classica: dopo essere stata picchiata dalla moglie di un amante riottoso non accetta altri soprusi da chi la vorrebbe violare in nome di una libidine sessuale che è la stessa riversata in affari loschi da banditi. Eppure, un vecchio adagio dice 'che è meglio vivere tristi che morire felici'. Piegarsi al destino è estraneo ai simboli di una Cina che neppure sotto forma di miraggio assomiglia all'oasi della felicità, il nome della casa d'appuntamenti dove l'ospite è eccellente e può sfogare ogni sua degradante perversione. Il sacro e il profano si sono così mescolati per generare una civiltà di lacca avariata." (Natalino Bruzzone, 'Il secolo XIX', 21 novembre 2013)

"Quattro storie che finiscono nel sangue, a ricordarci che lo sviluppo vertiginoso della Cina ha soprattutto aumentato il fossato tra ricchi e poveri (sconvolgente la scena in cui un ricco infoiato schiaffeggia con una mazzetta di soldi la protagonista della terza storia) e che Jia dirige con uno sguardo sconsolato, verso un'umanità che ha perso ogni dignità e dove solo la violenza sembra capace di ridare un senso alle azioni. Quattro storie «private» che però aprono squarci di riflessione su quattro momenti «politici»: il passaggio dall'economia collettivistica a quella privata nel primo caso, il disprezzo e l'annientamento di ogni tipo di legge nel secondo, lo sfruttamento dell'uomo sulla donna nel terzo e il peso del denaro nel quarto. Quattro ferite che letteralmente sanguinano (impossibile non pensare al ruolo del coproduttore Kitano) e che riconfermano la capacità di Jia Zhang-Ke di fare grande cinema riflettendo sul destino della sua Cina." (Paolo Mereghetti, 'Il Corriere della Sera', 18 maggio 2013)

"Il cinese 'A Touch of Sin' ('Un tocco di peccato') non è un capolavoro, ma è un'opera interessante e durissima sulla Cina di oggi. (...) un film profondamente radicato nel neo-capitalismo cinese, raccontato come un abisso di violenza e di barbarie. Incrociando quattro storie in modo spesso artificioso, Jia Zhang-Ke compone un quadro atroce della vita nella Cina di oggi. Il film alterna momenti folgoranti a fasi francamente incomprensibili. Parla di corruzione, di mobbing sul posto di lavoro, di violenza sulle donne, della natura gerarchica e sopraffattrice del potere, giungendo alla conclusione che dalla dinastia dei Ming al comunismo finanziario nulla è cambiato. E' un film che consiglieremmo solo a cinefili e a sinologi (...)." (Alberto Crespi, 'L'Unità', 18 maggio 2013)

"Se questa è la Cina, si comprende perché una grande potenza economica difficilmente sarà anche un modello comportamentale, un'idea di emulazione, un modo di vivere, una cultura da cui abbeverarsi. Abbiamo avuto la Finis Austriae, l'appeal britannico, la grandeur francese, il sogno americano, ma prima che Pechino parli al nostro cuore e non si limiti a bussare e/o riempire le nostre tasche, ce ne vuole. 'A Touch of Sin', di Jia Zhang-Ke, già Leone d'oro a Venezia nel 2006 con 'Still Life', è un compendio doloroso e irato di quel mondo. La corruzione politica non ha rivali, lo sfruttamento economico nemmeno. Mezzo secolo di comunismo egualitarista ha lasciato il posto a un capitalismo selvaggio e social-nazionale, dove solo i legami familiari reggono, ma non esiste più un potere intermedio, una comunità di appartenenza, e si è soli di fronte a una guerra di tutti contro tutti in cui ciascuno si fa la legge, e la vendetta, da solo. (...) 'A Touch of Sin', la colpa, il peccato e le sue componenti, rimanda nel titolo e indeterminate scelte filmiche alla tradizione cinese precedente al maoismo, vale a dire il racconto epico di una civiltà feudale in cui l'onore, il rispetto, le gerarchie, i codici comportamentali, le tradizioni avevano il compito educativo di regolare i conflitti."(Stenio Solinas, 'Il Giornale', 18 maggio 2013)

"Il grande timoniere della nuova Cina, che cosa penserebbe Mao Tse-tung della sfilata di prostitute ragazzine in divisa (erotica) da guardia rossa davanti a ricchi babbioni ubriachi in un bordello del Dongguang, la costa sud est delle industrie internazionali, dove un operaio, disorientato dalla corruzione, sale sul terrazzo della fabbrica, guarda il panorama, tossico e devastato, e si lancia nel vuoto? Tragico di cronaca, non di fiction, perché i quattro episodi del film di Zang-Ke, conclusi da quel volo, vengono dalla lettura dei messaggi su Weibo, il Twitter cinese che funziona come canale d'informazione alternativo al regime, soprattutto su fenomeni censurati di violenza sociale. (...) Il coinvolgimento è instabile, decentrato, nell'illusione della Cina forte e orientata che le notizie ufficiali vogliono imporci. Miracolo che il film sia uscito dal Paese." (Andrea Martini, 'Nazione - Carlino - Giorno', 18 maggio 2013)

"(...) benvenuti in Cina. O, almeno, nella Cina messa in scena nel bellissimo e tremendo 'A Touch of Sin' presentato in concorso dal regista Jia Zhang-ke, già vincitore del Leone d'oro alla Mostra del Cinema di Venezia con 'Still Life'. (...) Da dove viene questa escalation di violenza, nella società cinese contemporanea, si è chiesto il regista. Partito da questa domanda, Jia Zhang-ke ha fatto delle ricerche (soprattutto su Weibo, l'equivalente cinese di Twitter), per cercare di capire come le grandi trasformazioni che la società cinese ha subito negli ultimi trent'anni, hanno (stanno) influendo sul comportamento dei suoi concittadini. L'industrializzazione feroce, ha trasformato rapidamente il paese - dice il regista - arricchendo alcune zone a discapito di altre. La ricchezza di qualcuno va di pari passo con le ingiustizie sociali. In un Paese dove mancano quasi totalmente i mezzi per comunicare (a parte Weibo), dice ancora Jia, il ricorso alla violenza può rappresentare il mezzo più rapido ed efficace per salvaguardare la propria dignità. (...) il film di Jia Zhang-ke ci mostra l'altra faccia del miracolo economico cinese: il divario economico sempre più pazzesco tra i ricchi (che si possono permettere l'aereo privato) e i poveri (che faticano a trovare lavoro), la fortissima migrazione interna dalle zone povere a quelle più ricche. E ancora, il potere corruttore del denaro, il degrado morale che pervade ogni ganglio della società, la protervia sempre più arrogante dei nuovi ricchi che trovano inconcepibile trovare qualche ostacolo alla soddisfazione dei propri desideri che pensano, appunto, di poter comprare con il loro denaro. Quando questo non avviene ecco esplodere, feroce, una violenza senza scampo e senza speranza. Certo, tutto questo avviene in Cina, ma il discorso del film si allarga immediatamente anche alle nostre società dato che molti dei modelli negativi stigmatizzati dal film, sono stati importati dall'Occidente ed estremizzati adattandoli ad una società che, dopo decenni di collettivismo, si sta ubriacando di individualismo." (Andrea Frambosi, 'L'Eco di Bergamo', 18 maggio 2013)