"Questo film non è nato come atto di ribellione ma di coscienza civile", così Philippe Lioret descrive la sua ultima opera, Welcome, presentata prima a Berlino poi a Torino, in uscita l'11 dicembre per Teodora Film con una dozzina di copie, nella speranza che il mercato pre-natalizio offra poi la possibilità di allargarsi un pò. Anche perché in patria Welcome è già un vero caso politico. Dietro al racconto della storia d'amore di Bilal, giovane curdo deciso ad attraversare l'Europa da clandestino pur di raggiungere la sua ragazza in Inghilterra, il film nasconde infatti una critica impetuosa alle norme francesi sull'immigrazione e su chi offre aiuto agli irregolari, che ora può andare incontro a denunce, multe e perfino detenzione. 
"Dovete sapere che in Francia esiste un Ministero dell'immigrazione e dell'identità nazionale: un'invenzione di Sarkozy per rubare i voti alla destra estrema del Front National", ci tiene a sottolineare Lioret, attaccato da questo dicastero "con il pretesto di alcune dichiarazioni in cui ho accostato le nuove norme sul crimine di solidarietà alla Francia di Vichy". L'intenzione, chiarisce però il regista, "non era affatto di paragonare la situazione dei migranti all'Olocausto, ma solo di dire attenzione: anche all'epoca le cose sono cominciate così". E anche se il film "è stato sfruttato dalla sinistra francese che ha colto l'occasione per lanciare un emendamento contro il crimine di solidarietà", il regista continua a non considerarsi "un uomo politico", bensì "un cineasta con una storia di grande impatto drammaturgico. Quella di un uomo di 50 anni che ne incontra uno di 17 e, nonostante abbiano un'età e una cultura molto diversa, si accorge di poter imparare molto da questo ragazzo, pronto ad attraversare a piedi mezzo mondo e la Manica a nuoto per andare a trovare la donna che ama, mentre lui quando la moglie se ne è andata non è stato capace neppure di attraversare la strada per fermarla". 
Welcome però “ci fa riflettere da Europei sulla condizione di questi ragazzi, soprattutto iracheni e afgani, spediti dai genitori all'estero con i contrabbandieri pur di farli fuggire da stenti e persecuzioni", afferma Laura Boldrini, il rappresentante in Italia dell'UNHCR – Alto Commissariato dell'Onu per i Rifugiati. Al di là delle differenze tra le varie normative nazionali, secondo il commissario "il problema è questa concezione, che sta passando in tutta Europa, secondo cui chi risulta privo di documenti è anche da considerarsi pericoloso, mentre spesso l'irregolarità è solo conseguenza dell'impossibilità materiale di ottenere queste carte o delle regole di Dublino 2, che impongono di chiedere asilo solo nel Paese d'arrivo", che raramente coincide davvero con la meta finale dei migranti.