"Che cosa può far diventare un bambino un piccolo terrorista? Pensiamo sempre che il terrorismo venga dall'esterno ma può nascere da disagi familiari e situazioni imprevedibili". Così Susanne Bier sul suo Heaven - In a Better World, presentato in concorso oggi al Festival di Roma. Storia dell'amicizia fra due ragazzini non ancora adolescenti, Christian ed Elias, interpretati da giovani attori "alla prima esperienza, ma dal sicuro avvenire" sottolinea la regista. Entrambi nascondono ferite che fanno male. Christian ha perso la mamma da poco, si è appena trasferito in Danimarca col padre e non ha voglia di fare sconti a nessuno. Di fatto si caccia sempre nei guai: prima quasi ammazzando a sprangate un bullo della scuola, poi improvvisandosi bombarolo nello scantinato di casa, infine mettendo a repentaglio la sua e la vita dell'amico; Elias ha un temperamento opposto: la sua timidezza è sinonimo di debolezza per gli altri, il suo apparecchio ai denti lo rende facile bersaglio di angherie ed esclusioni, e la separazione dei genitori non aiuta. In Christian troverà la guida, il fratello maggiore, il protettore. Finendo per farsi del male. Intanto padri e madri, dell'uno e dell'altro, faticano a gestire i loro ragazzi: pagano la riottosità del nuovo clima sociale che ne mina autorità e sistemi educativi (come porgere l'altra guancia quando gli altri conoscono solo la legge del pugno?); pagano per i propri errori, per le disgrazie che hanno incontrato (la difficoltà di sopravvivere ai lutti), per il livore, l'indisponibilità degli altri. "La Danimarca non è così perfetta e ideale come si pensa. E' un mondo fragile anche rispetto all'infanzia". Il film che segna il ritorno in Danimarca della Bier, dopo la parentesi hollywoodiana di Noi due sconosciuti, ha avuto dei problemi con il governo sudanese che lo ha accusato di essere anti islamico. "La questione, priva di fondamento, è saltata fuori - chiarisce la regista - durante il montaggio del film. Un malinteso che non sappiamo da dove sia nato perché il film non affronta temi religiosi. Inoltre non diciamo neppure dove si trova il campo profughi. Potrebbe essere in Sudan ma in qualsiasi altro luogo dell'Africa. Quando, poi, e' stato visto il film erano tutti d'accordo che si trattava di un equivoco". "Il Terzo Mondo è stato uno dei protagonisti - continua la Bier - dei miei ultimi tre film ma questa volta ho voluto indicare le analogie con la nostra realta': c'é del male in Africa ma anche da noi. Ho voluto mostrare anche quanto sia assurdo, stupido e ridicolo, il razzismo. Pensiamo sia facile capire gli altri mentre c'è un grande divario fra noi". Il film, già venduto in 50 paesi, compresi gli Stati Uniti, uscirà in Italia il 14 gennaio 2011 distribuito dalla Teodora. E' candidato all'Oscar per la Danimarca. L'America è un chiodo fisso per la regista: "Mi piacerebbe fare un altro film americano, certo. Ma mi importa di più che tipo di film fare. Mi interessa lavorare su storie che mi appassionano, che fanno un po' paura, che hanno un elemento di terrore sconosciuto".