“Dopo il crollo del ponte di Genova mi ha colpito che tutti gli sfollati volevano tornare nelle loro case a raccogliere le proprie cose: erano tanti piccoli Elia”, così Sergio Rubini alla conferenza stampa del film Il bene mio di cui è protagonista. Nell’opera seconda di Pippo Mezzapesa, Elia è l’ultimo abitante di Provvidenza, paese distrutto da un terremoto che rifiuta di adeguarsi al resto della comunità che, trasferendosi a “Nuova Provvidenza”, ha preferito dimenticare.

“Volevo raccontare la lotta di un uomo che non vuole abbandonare il suo paese, ma che vuole elaborare il dolore rimanendo attaccato a quelle pietre e, contrariamente agli altri ex abitanti, vorrebbe ricostruire una comunità”, dice il regista pugliese che, prima di questo film, ha diretto Il paese delle spose e il doc Pinuccio Lovero, la storia di un becchino che lavorava nel più grande camposanto di Bitonto.

Questa volta tutto si svolge in uno dei tanti paesi-fantasmi del nostro stivale e precisamente ad Apice: “Ho visitato tanti paesi disabitati sulla dorsale appenninica da Roma in giù poi mi è apparso questo borgo che è veramente chiuso e inagibile e mi è sembrata la location ideale per girare questo film”, racconta Mezzapesa.

Come è successo ad Apice anche qui il sindaco del paese (Francesco De Vito) vorrebbe chiudere Provvidenza. Nel suo caso una scelta in qualche modo difensiva poiché non riesce a sostenere la sofferenza del post-terremoto. A fare visita ogni tanto al solitario Elia ci saranno l’ex maestra d’elementari Rita (Teresa Saponangelo) che ogni giorno gli porta la spesa e il suo vecchio amico Gesualdo (Dino Abbrescia), che porta i turisti alla scoperta di questo luogo abbandonato. Oltre a loro, nascosta tra le macerie della scuola, dove durante il terremoto perse la vita la moglie di Elia, c’è Noor (Sonya Mellah), una migrante in fuga dalla propria terra.

“Elia non è il classico eremita che ha scelto di abbandonare il mondo, è in qualche modo solare e vitale perché vorrebbe a tutti i costi riportare in vita quel paese”, spiega il regista. E Rubini: “Non è mai depresso, ma sempre indaffarato”.

Ogni personaggio della storia vive a suo modo il proprio dolore. “Elia pensa che non ci può essere un domani senza la conoscenza del passato. E’ il pastore di questa comunità e cerca in qualche modo di ricucirla. Il mio è un film di soglie e di confini e lui vuole aprire questi limiti”, dice Mezzapesa. 

Sulla scelta del nome del paese: “All’inizio non mi convinceva perché mi riportava ai b-movie con Tomas Milian. Poi Provvidenza mi ha conquistato perché rimanda a un ordine superiore che viene stravolto da questa forza che viene dal basso, dalla terra. C’è anche un riferimento a I Malavoglia, ma lì c’era una visione pessimistica, qui invece la provvidenza porta a un ricongiungimento ancora più saldo della comunità che vi abitava”. Teresa Saponangelo dice: “E’ un film sul lutto di un’intera comunità, spesso la collettività dopo un terremoto non riesce più a ritrovarsi perché non riesce più a guardarsi. E’ questa la tristezza dei paesi nuovi e ricostruiti”. Infine Sergio Rubini riflette sulla crisi del cinema in Italia: “Negli ultimi anni abbiamo prodotto dei prodotti, opera da scaffale, che replica l’ultima cosa che è andata bene. Abbiamo perso la voglia di sperimentare e questo è il male del nostro paese. Di fatto tutti i ricercatori fuggono. Il cinema però non è la sala. Ci sono altri supporti e di questo bisogna prenderne atto. Ma la gente avrà sempre bisogno di storie uniche come questa”.

Domani si terrà l’anteprima nazionale in un luogo fortemente significativo e cioè ad Amatrice. “E’ stata una scelta naturale. Ci sembrava giusto riservare la prima di questo film alla popolazione di Amatrice perché parla di una realtà che è molto vicina alla loro e per ridare speranza”, dice il produttore Cesare Fragnelli. Il film, che è anche stato presentato alle Giornate degli autori del Festival di Venezia, uscirà nelle sale il 4 ottobre distribuito da Altre storie.