“Vorrei continuare a raccontare le donne in generale”. A parlare è Benedetta Argentieri che oggi ha presentato a Venezia 79 fuori concorso il suo doc The Matchmaker.

Prodotto da Fandango, questo film ci racconta la storia di Tooba Gondal, una delle più famose jihadiste britanniche.

Scappata da Londra a soli 21 anni per unirsi allo Stato Islamico, divenendo famosa in tutto il mondo come The ISIS Matchmaker, Tooba Gondal è accusata di aver reclutato su internet almeno una dozzina di donne occidentali, tra queste anche delle minorenni, che sono partite

dall’Occidente per sposarsi in Siria con dei miliziani dell’Isis. Da qui il soprannome: “Matchmaker”.

“Ho raccontato un personaggio complesso pieno di emozioni contrastanti. Ci sono tante sfumature in tutti noi. Nessuno è tutto bene o tutto male. Lei è una persona estremamente complessa che ha fatto una scelta estrema e ora ne sta pagando le conseguenze”, dice la regista.

E poi: “L’idea di questo film nasce dall’esigenza di raccontare le donne. Quelle che si sono unite allo Stato Islamico, andando aldilà degli stereotipi che le vogliono o vittime possibilmente di un uomo oppure fanatiche che inneggiano alla jihad. Volevo raccontare gli ultimi momenti dello Stato Islamico e volevo capire perché erano partite tante donne per lo Stato Islamico e ho deciso di seguirle in questi campi di detenzione”.

“Tooba ha avuto un ruolo determinante nel reclutamento”, spiega la regista. E poi: “Nel realizzare questo film mi ha aiutato il mio lavoro da giornalista. Sono riuscita a scardinare alcuni stereotipi e una rappresentazione anche rassicurante che non vede la realtà complessa che vi è dietro”.

E la produttrice esecutiva Eleonora Savi: “Ho avuto la possibilità di lavorare su un personaggio che capita raramente, un personaggio ambivalente e sfaccettato. Questo è un film unico e particolare nel suo genere. È un film che non ha nulla da invidiare rispetto a un film di finzione, dà spazio a una realtà che rifugge gli stereotipi dell’Isis”.

Sulla realizzazione la regista, che in precedenza aveva già diretto due documentari sulle donne in guerra (Our War e I Am the Revolution) dice: “E’ stato difficile ottenere lunghi permessi per girare in questi campi. C’erano forti limitazioni a tutela delle persone che vi entrano. C’è sempre una forte ambivalenza in queste donne, non si capisce mai dove sia la verità e dove la finzione e quanto loro usino la telecamera a proprio vantaggio. È una situazione complicata perché non c’è un controllo vero sui campi. Spesso ci sono rivolte e le donne scappano. Ritornano poi clandestinamente in Europa e non si hanno più tracce”.

Infine conclude: “Nei tanti colloqui che ho avuto con queste donne la risposta è sempre stata: tu pensi che in Europa non ci sia violenza? In effetti in Italia ogni tre giorni una donna viene uccisa e le donne subiscono tantissime violenze. Molte poi mi dicevano voi parlate di un'Europa che definite democratica quando non lo è”.