In America e nel resto del mondo divampa la prima protesta globale dall’inizio della pandemia a seguito della diffusione del video incontrovertibile dell’omicidio a Minneapolis del nero George Floyd da parte di un poliziotto bianco, Derek Chauvin, alla presenza impassibile di altri tre. Ritornano ancora una volta alla mente le immagini del capolavoro brechtiano di Spike Lee, Do the Right Thing (1989), in cui un altro gigante buono, Radio Raheem, viene soffocato fino alla morte da un poliziotto.

E infatti comincia con queste eloquenti parole, “Will History Stop Repeating itself?” il corto dal titolo “Three Brothers – Radio Raheem, Eric Garner and George Floyd,” appena rilasciato da @SpikeLeeJoint su Twitter

e presentato da Don Lemon sulla CNN il 31 maggio. Il giornalista afroamericano ha anche incitato le élite (nere) di Hollywood a rompere il silenzio e prendere posizione, atto essenziale anche per fornire chiavi interpretative alternative a quelle che circolano su Fox News (come su CNN) con reporter scioccati di fronte agli atti di vandalismo e dar invece senso al clima da guerra civile che si respira in questi giorni negli Stati Uniti. Lo stesso Presidente Trump si è rifugiato nel bunker della Casa Bianca dopo aver annunciato a seguito dei primi tafferugli “When The Looting Starts, The Shooting Starts” (trad. “quando i saccheggi cominciano, gli spari cominciano”). Le parole di Trump sono state interpretate come un chiaro incitamento alle forze dell’ordine a sparare sui manifestanti da molti, tra cui lo stesso Spike Lee che chiama su Twitter Trump “Agent Orange” con un riferimento al defoliante chimico usato dagli USA durante la guerra in Vietnam.

“Three Brothers” è un semplice quanto intenso montato di un minuto e mezzo che mescola intenzionalmente immagini di finzione e realtà. Già nel 2014 il regista afroamericano aveva realizzato un video

che univa le immagini dello strangolamento di Radio Raheem a quelle dell’omicidio a New York di Eric Garner, altra vittima della cosiddetta “choke hold,” la presa letale con cui i poliziotti continuano ad uccidere, in tutti e tre i casi praticata su corpi imponenti, di uomini alti e grossi, enormi corpi neri resistenti ma mai violenti; come se solo così si potessero zittire, sopire, lasciare senza possibilità di respirare. E se Floyd invoca la madre negli ultimi secondi prima di spirare, lo sguardo allucinato di Chauvin ci restituisce un’America che odia e reprime con la violenza ingiustificata e legalizzata delle forze dell’ordine. Sono passati oltre trent’anni e sono arrivati gli smartphone ma certe cose sembrano non cambiare.

Qualche giorno fa, l’artista @PhreshLaundry, rilanciato da @SpikeLeeJoint, ha reso omaggio a George Floyd citando un’altra scena di DRT, quella in cui Mookie (Spike Lee) incontra per caso nel quartiere Radio Raheem (Bill Nunn). Questo gli mostra come i nuovi anelli che indossa vadano a formare la scritta “Love” nella mano destra e “Hate” in quella sinistra. Come un pugile, Radio Raheem improvvisa una lotta immaginaria tra le due mani che vede il trionfo della destra, che va ad alzare a pugno chiuso.

A suo tempo, il film di Lee fu accusato di incitare alla rivolta, visto che alla fine Mookie dopo che Radio Raheem viene ucciso getta il bidone della spazzatura contro la vetrina della pizzeria di Sal dando il via alla distruzione del locale da parte degli astanti. “Non condono la violenza di questi giorni ma la capisco,” ha detto a Lemon ripetendo quello che predica da anni.

E se le immagini dei “Three Brothers” ci perseguiteranno e non ci lasceranno dormire mentre l’America va a fuoco, non resta che sperare che la mano destra prevalga.