Straordinaria affluenza di pubblico al Teatro Petruzzelli per la seconda Masterclass che avuto come protagonista Alessandro Gassmann. Che ha ricordato il padre, cui il Bifest rende omaggio quest’anno, ma anche ripercorso la sua carriera di attore e regista.

“Sono felice di essere tornato al Bif&st, non solo per l’omaggio che il Festival riserva a mio padre, ma anche perché proprio qui fui premiato per la mia opera prima da regista Razzabastarda. Spero che la mia presenza mi porti fortuna per il secondo film di cui inizierò le riprese tra pochi giorni”.

Un lungo e affettuoso applauso ha accolto l’arrivo sul palco del Teatro Petruzzelli di Alessandro Gassmann, protagonista della seconda Masterclass del Bif&st 2017, moderata dal critico Enrico Magrelli. Un incontro che ha visto una straordinaria partecipazione di pubblico già dalla proiezione che ha aperto la mattinata, Il nome del figlio di Francesca Archibugi, una delle più acclamate interpretazioni dell’attore, che ha recentemente riscosso anche un grande successo in televisione con I bastardi di Pizzofalcone di cui ha annunciato una seconda serie.

Gassmann ha riavvolto il nastro della sua carriera, inizialmente legata al padre che lo fece debuttare da bambino, riprendendolo dall’età di sette anni e fino ai diciassette per Di padre in figlio, presentato a Venezia nel 1982. “Quel film porta anche la mia firma, anche se io non girai assolutamente nulla, penso che papà lo accreditò anche a me per farmi prendere i soldi dalla SIAE. Io feci il film controvoglia, alla fine papà dovette anche accelerare le riprese facendomi truccare da venticinquenne. Poi ci fu un episodio particolarmente spiacevole: papà volle ricostruire quella volta che, quando avevo undici o dodici anni, durante una lezione di inglese mi dette il primo e unico ceffone della sua vita. Ebbene, sul set me lo diede di nuovo, con la stessa forza, tanto che io piansi allo stesso modo. Ma in quel caso era come se stesse adottando una terapia d’urto, mi stava dicendo a modo suo: ‘benvenuto nel mondo del cinema’.

Il cinema, tuttavia, non sembrava far parte degli orizzonti di Alessandro che per sé progettava un futuro da ingegnere agrario. “Quando seppe delle mie intenzioni di iscrivermi all’Università, papà mi volle subito con sé a teatro, aveva paura che non concludessi nulla. Qualche settimana dopo debuttammo a Pistoia con Affabulazione da Pasolini, io dovevo recitare nudo e con i capelli tinti di biondo, sembravo un incrocio tra il ballerino Truciolo e David Bowie! Per fortuna al secondo atto, al centro della scena c’era lui e il pubblico nemmeno si accorgeva più della mia presenza sul palco”. Ciò che si ripeté qualche anno dopo, quando sempre accanto al padre recitò in Moby Dick, messo in scena al Porto di Bari. “Il palco era la prua di una nave alla quale avevano tolto un parapetto per esigenze di scena. Ad un certo punto, io pensavo di appoggiarmi sul parapetto e quindi caddi rovinosamente, facendo un gran rumore. Ma lui stava recitando il monologo di Achab, e dunque non se ne accorse nessuno!”

L’imbarazzo segnò anche il debutto al cinema da protagonista di Alessandro Gassmann. “Fui chiamato da Luciano Odorisio per La monaca di Monza nel quale recitavo accanto all’attrice Myriam Roussel che all’epoca era incinta al quarto mese. Per questo fui utilizzato praticamente come ‘tappapanza’. Nelle scene d’amore si vedeva solo il mio sedere!”

“Ci ho messo del tempo, tuttavia, prima di capire che mi piaceva fare l’attore. Accadde quando Pino Quartullo mise in scena prima a teatro e poi al cinema la commedia Quando eravamo repressi. Lì mi resi conto che riuscivo a far ridere, sdrammatizzando così la mia fisicità. Sapere di fare ridere mi ha fatto venire la voglia di migliorare come attore drammatico.”

L’emancipazione dal suo ingombrante cognome è avvenuta, sostiene l’attore, con Il bagno turco, l’opera prima di Ferzan Ozpetek. “Un film che nessuno voleva fare, il regista era sconosciuto, Marco Risi che lo produceva dovette impegnarsi casa sua, gli attori rifiutavano uno dopo l’altro di interpretare un omosessuale. Lo feci io e fu un grande successo che mi portò anche diversi premi”.

Tornando al padre, Alessandro lo ricorda come “un uomo molto rigido, severo ma anche estremamente dolce e affettuoso. Era un uomo del 1922, di origine ebraica, aveva perso il padre a quattordici anni e vissuto gli stenti del fascismo e della guerra. Riconosceva il valore di avere iniziato da zero e di non avere mai tentato scorciatoie. Pensava che fosse giusto fare sempre le scelte più faticose e questo è stato per me un grande insegnamento che applico quotidianamente nella mia vita.”

Da un paio d’anni Alessandro Gassman è Ambasciatore Unhcr, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Per quest’ultima, ha realizzato due anni fa un docufilm, Torn – Strappati del quale è stata proiettata una clip nel corso dell’incontro e che è stato proiettato, nella sua interezza, ieri sera al Cinema Galleria insieme al documentario Alessandro Gassmann. Essere Riccardo… e gli altri di Giancarlo Scarchilli. In conclusione, un auspicio: “Nel mio futuro cercherò di non fare più brutti film, come qualche volta mi è capitato. Ma soprattutto cercherò di evitare che un giorno qualcuno possa dire: ‘C’era una volta il grande Vittorio Gassmann. Poi, purtroppo, c’era anche un figlio…”.