La terza giornata di Pesaro57, mercoledì 23, è iniziata dal matinée al cinema Astra, dove i registi dei film presentati in concorso hanno incontrato stampa e pubblico. La sud coreana Minjung Kim ha esplorato la particolare dualità storico-naturale che caratterizza l’isola di Jeju, dove è ambientato il suo corto The Red Filter is Withdrawn: “L’isola si trova nell’estremità meridionale della Corea del Sud, la sua era una posizione strategica per l’esercito giapponese e le numerose caverne naturali e i tanti bunker costruiti sono purtroppo stati teatro di repressioni violente prima dello scoppio della guerra di Corea. Il passato tragico dell’isola si contrappone però alle meraviglie naturali che attualmente la rendono un’ambita meta turistica.”

Nasce da un’esplorazione anche A banana tree is no coincidence, corto dell’argentina Luiza Gonçalves. “Mentre stavo seguendo un corso sulla creazione dei giardini, ho incontrato una ragazza che mi ha raccontato come le piante di banani possano rigenerarsi da sole, da qui è arrivata l’idea originaria dell’opera” ha spiegato la regista, che si è formata al Pratt Institute di Brooklyn.

Gianmarco Donaggio, unico autore fisicamente presente in sala, ha discusso a lungo con il pubblico dei propositi cercati e dei risultati raggiunti con Manifestarsi: “Ho tentato un ritorno al cinema primitivo, quello dei fratelli Lumiere, premiando la forza della macchina da presa e senza volere imporre una mia narrazione”. Un processo di continuo perdersi e ritrovarsi creato dal dispositivo di ripresa e poi unitosi in 12 minuti in maniera spontanea.

L’incontro conclusivo è stato con Eryk Rocha, figlio del grande cineasta brasiliano Glauber Rocha e autore di Edna, una storia nata dalla conoscenza con la protagonista, la cui vita è stata determinata dalla lotta per la difesa dell’Amazzonia. “Abbiamo svolto una vasta ricerca sulle vicende storiche, sulla dittatura e sulla guerriglia così violente in questa regione, ma questo film nasce dal nostro incontro, dal rapporto umano con Edna”, ha raccontato Rocha. Nel dibattito è intervenuto in maniera particolarmente sentita anche Bruno Torri, esprimendo le ragioni per cui ha amato l’opera: “Ritrovare nel tuo film la traccia del cinema di tuo padre è per stato molto emozionante, il tuo lavoro rende perfettamente la visione del tempo storico della tragedia del Brasile, che è estremamente vivo perché è anche estremamente morto.”

Nella prima parte del pomeriggio il Teatro Sperimentale ha ospitato la personale di Magda Guidi all’interno della sezione dedicata al cinema d’animazione Corti in mostra.  In seguito alle proiezioni (dai primi lavori a Via Curiel 8, arrivando al recentissimo Sogni al campo), l’autrice ha dialogato con il critico Paolo Loffreda sui temi che continuamente ricorrono nelle sue opere: il passaggio dall’infanzia all’adolescenza, l’idea di una svolta, l’apertura di una soglia. “Il linguaggio del corto è un genere specifico, l’animazione trova nel corto la sua espressione migliore. Spesso il racconto non segue una narrazione logica ma poetica, è lo stesso meccanismo che si innesca quando interiorizziamo e ricordiamo qualcosa”, ha spiegato Guidi ponendo anche l’accento sull’importanza della tecnica manuale nel suo lavoro – ogni minuto di proiezione è composto da 480 disegni - e sull’avversione che personalmente riserva alle tecniche digitali: “Forse la mia è una perversione, ma regala una soddisfazione impareggiabile”.

Due le opere del concorso Pesaro Nuovo Cinema proiettate nel tardo pomeriggio: Mille cipressi dell’italiano Luca Ferri, un corto che omaggia la Tomba Brion - complesso funebre realizzato in Veneto da Carlo Scarpa -, e Film about a father who, documentario familiare che la regista americana Lynne Sachs ha dedicato alla figura di suo padre.

Mille cipressi

La serata in Piazza del Popolo ha visto protagonista la proiezione di La messa è finita di Nanni Moretti, eletto a film del cuore della critica e giornalista cinematografica Piera Detassis, che ha presentato la pellicola dialogando con il direttore del festival Pedro Armocida. “Ha segnato un passaggio per il cinema italiano e per il cinema di Moretti, dimostrando una capacità emotiva più forte rispetto ai film precedenti. Un’opera che raccoglie i disagi della generazione post anni di piombo e incarna nella figura di un prete tutto l’accanimento moralista di Moretti”, ha affermato Detassis elencando alcune delle ragioni per cui considera il film fondamentale.