Da domani, lunedì 20 maggio, e fino a mercoledì 22, sbarca nei cinema il docu-evento Palladio, diretto da Giacomo Gatti, sulla figura storica dell’omonimo architetto, fondamentale per l’architettura italiana, l’influenza internazionale e, più in generale, per le arti rappresentative.

Il regista ci accompagna in un viaggio internazionale, come la diffusione del palladianesimo e della nuova modernità. Due tra le più influenti menti del ’900 in fatto di architettura, Kenneth Frampton e Peter Eisenman si confrontano in U.S.A. con un professore italiano di stanza in Belgio, Gregorio Carboni Maestri, su Palladio e del perché lo usino nei rispettivi corsi, alla Columbia e a Yale.

Nel frattempo, un gruppo di studenti universitari, gli architetti di domani, soppesano l’intervento che il suo stile ha avuto nel rappresentare l’ascesa di una nazione antica come l’Inghilterra, che quella di una nuova come gli Stati Uniti (della cui architettura, nel 2010, Palladio è stato nominato “padre”).

Palladio vanta una diffusione che oggi definiremmo virale, lungo le assi di spazio e tempo, testimoniata da un montaggio alternato che non si esime nemmeno dal raccontare, delicatamente, piccoli frammenti di storie umane. Ad esempio, quella di Agnese Tucci, studentessa di restauro che, attraverso i “biblici” Quattro Libri sull’Architettura, si riscopre innamorata dell’arte di rappresentare la realtà attraverso elementi imponenti e codici musicali.

Il documentario, pur concedendosi sezioni di docu-fiction, non devia mai dal suo obiettivo primario: “secondo le simmetrie palladiane, usare un punto di vista sempre umano” ci racconta il regista, Giacomo Gatti. “Cinematograficamente, non era la soluzione più facile. Ci è stato proposto l’uso dei droni, ma l’abbiamo escluso in sede di montaggio. Ci sembrava di tradire lo spirito dell’architetto, di sfruttare un punto di vista non suo.”

Lo stesso Palladio, nei suoi libri, disegna le sue costruzioni in due dimensioni, su carta. E la regia punta, quando possibile, a replicare con la cinepresa tali illustrazioni. “Le sue opere erano fatte per essere viste dall’uomo che arriva da una singola strada, con una certa assialità” aggiunge Gatti, e poi ci chiede: “Perché tradire tutto questo?

Sorprende che di una figura tanto importante, rispetto ai numerosi artisti attorno ai quali fiorisce una ricca letteratura e filmografia, si parli così poco, al di fuori dell’ambito accademico. La sua influenza, già di per sé colossale, non si ferma al solo campo dell’architettura: “Ha influenzato, e nobilitato, anche la scenografia” dice ancora, il regista.

“Palladio usa strutture in mattoni rivestite di stucco che, in mancanza di materiali più pregiati, danno l’impressione del marmo. Crea un’illusione della realtà. Che poi è il modo in cui funziona il cinema, a pensarci bene: il racconto di storie in spazi creati”.

Forte dei valori del documentario, con un pizzico di seduzione narrativa di fiction, Palladio si propone di mettere in luce, oltre all’autore, la sua filosofia, il pensiero creativo. E lo fa attraverso le parole di mentori senza tempo, il cui invito (universale) è quello di scovare l’architettura, anzi, la rappresentazione nei suoi vuoti, più che nei suoi pieni: nelle parole del film, “osservare ciò che non si vede”.