Esordio alla regia per Matthew Michael Carnahan, fratello di quel Joe a cui dobbiamo tra le altre cose il dittico di gusto situazionista e sostanza tamarra Smokin’ Aces e già apprezzato sceneggiatore e produttore, da Cattive Acque (2019) a World War Z (2013) e Leoni per agnelli (2007).

Fuori concorso alla 76. Mostra di Venezia nel 2019 e dal 26 novembre scorso disponibile su Netflix, l’opera prima Mosul si basa su una storia vera riportata in un articolo del New Yorker e ha per protagonista un’unità d’élite della polizia irachena che a Mosul combatte strada per strada o, meglio, rovina per rovina contro l’Isis. Guidata con pugno di ferro da Jasem (Suhail Dabbach), la SWAT accoglie, dopo avergli salvato la vita dall’assedio dei tagliagole di Daesh, il giovane poliziotto Kawa (Adam Bessa), che ben presto si rivelerà all’altezza della missione: già, ma qual è la missione che muove la squadra, e in particolare Waleed (Ishaq Elias)?

MOSUL (L to R) Tarik Belmekki as "Youness," Qutaiba Abdelhaq as "Kamal," Mohamed Attougui as "Akram," "Adam Bessa as “Kawa," Mohimen Mahbuba as "Amir" and Is'haq Elias as "Waleed." Cr. JOSE HARO/NETFLIX © 2020.

Anche scritto da Carnahan, coprodotto dai fratelli Russo (Avengers: Endgame), Mosul – da non confondere con l’omonimo di Dan Gabriel (2019) – ibrida guerra e azione in un dramma dal minimo aggetto psicologico e dalle maniere forti, in cui l’attributo sparatutto non è bestemmia, ma realtà e, di più, verità dei fatti: quando la seconda città irachena è stata liberata dall’Isis, l’istantanea ha restituito una distruzione su vasta scala. Un teatro in cui Jasem e i suoi uomini adoperano con sprezzo del pericolo e certezza dell’ineluttabilità della fine: occhio per occhio, pallottola per pallottola, la lotta è senza quartiere, e forse senza futuro.

MOSUL (L to R) BTS of Suhail Dabbach as “Major Jaseem” and writer/director Matthew Michael Carnahan. Cr. JOSE HARO/NETFLIX © 2020.

Si restituisce colpo su colpo, cercando di non lasciarsi alle spalle infide sacche di tagliagole, costi quel che costi: il prezzo umano sarà altissimo, ma Carnahan non se ne cura, non per cinismo ma per logica, per verosimiglianza. Sui titoli di coda scorrono i nomi dei caduti della Swat, un memento mori che senza farne un documentario sottrae Mosul dal war movie di mero consumo, dall’action acefalo e adrenalinico: se l’eredità carnahaniana di The Kingdom (2007) è sensibile tanto quanto la lezione smargiassa del Michael Bay di 13 Hours (2016), Mosul senza infamia alcuna – ci sono ammazzatine davvero ben coreografate - e con un tot di lode butta la camera oltre l’ostacolo, il coraggio oltre l’aberrazione, il cinema dentro la spaventosa realtà di Daesh.

Lo Stato Islamico, portando il corpo a corpo anche sul piano audiovisivo come d’abitudine, ha risposto immantinente – il 28 novembre - a Mosul con la propria soggettiva sulla battaglia 2014-2017 nella città irachena, Mosul Another Perspective, licenziato sul web con il logo Netflix stampigliato a sfregio e in spregio dell’originale di Carnahan.