Agenti che uccidono a sangue freddo, innocenti torturati e gambizzati per farli parlare, missioni condotte con l'unico scopo di trovare vendetta. Nel giorno di Elio Germano presentato come Shooting Star, di Amos Gitai fuori concorso e del primo, applauditissimo, tedesco in gara per l'Orso d'Oro, a scioccare la Berlinale è la crudezza del brasiliano Tropa de Elite: spaccato sulla corruzione nelle favelas di Rio de Janeiro, che ha fatto infuriare la polizia e portato il regista a un passo dal carcere. Ancora più incredibile, nella storia di questo coraggiosissimo esordio al lungometraggio, il determinante contributo della pirateria, che ha convinto addirittura i fratelli Weinstein a distribuirlo: "Tutto è iniziato grazie all'unico dvd del film che avevamo - racconta il regista José Padilha -. Ci era stato rubato nella speranza di farlo sparire e invece è accaduto esattamente il contrario: grazie alle copie pirata che hanno cominciato a circolare, alla fine sono riusciti a vederlo più di 11.000 milioni di spettatori. Più la polizia cercava di impedirne la circolazione, più guadagnava popolarità. Il caso che è montato ha messo i distributori con le spalle al muro: quando è arrivato a loro era già diventato un fenomeno". Al centro di tante polemiche è l'impietosa denuncia dei metodi utilizzati dal BOPE, selezionatissimo gruppo d'assalto della polizia brasiliana, che opera nelle favelas, per arginare lo strapotere dei trafficanti di droga. Ad emergere dal crudo ritratto del film, che in nome del realismo ha preferito a un vero e proprio copione l'improvvisazione degli attori, è una squadra di 'Rambo' esaltati, con licenza di uccidere al di sopra della legge: "Quando nel mio precedente Bus 174 ho raccontato la storia di un ragazzo di strada, che aveva dirottato un autobus e preso in ostaggio i passeggeri, mi davano dell'estremista di sinistra. Ora, a causa di questo film, mi accusano di essere un estremista di destra. Quello che ho cercato di fare è stato invece abbandonare ogni ideologia e raccontare le cose come stanno: in Brasile è in atto una vera e propria guerra, che ha finora mietuto più vittime dell'Intifada palestinese. Mentre in tutti gli Stati Uniti le vittime della polizia sono ogni anno 200, soltanto a Rio De Janeiro le cifre salgono a oltre 1200". Principale teatro di questa sconosciuta mattanza sono le favelas delle grandi città. "Sono realtà incomprensibili per chi non le conosca - prosegue Padilha -. All'inizio volevo che Tropa De Elite fosse un documentario, ma quando ho capito che nessuno avrebbe parlato e io avrei rischiato la vita, mi sono risolto a farne un film di finzione". Emblematica spiegazione di tanta violenza è una definizione del precario equilibrio che regna nelle favelas, riassunta da una battuta del film: "La pace dipende dalla corruzione dei poliziotti e dalle munizioni degli spacciatori". "La situazione sta effettivamente così. Purtroppo non si scappa: ci sono favelas governate dai narcotrafficanti e favelas governate dai poliziotti corrotti. Se si vuole sopravvivere, con gli uni o con gli altri bisogna per forza scendere a patti". Ed è proprio in queste marce premesse, che affondano brutalità e seguito dei BOPE, di cui parla Tropa De Elite: "La colpa non è alla fine neanche dei singoli agenti. Il problema è un circolo vizioso, in cui tanta violenza appare a molti l'unica risposta all'inerzia delle istituzioni. Per fortuna non sono molti, ma in Brasile alcuni spettatori sono usciti dal film, parlando di loro come fossero eroi". Sempre la morte, ma in tutt'altra forma, è poi anche protagonista di Kirschbluten, il film tedesco che ha strappato i primi veri applausi alla proiezione per la stampa, dall'inizio della Berlinale. Forte dei popolarissimi volti tv di Elmar Wepper e Hannelore Elsner, il dramma di Doris Dorrie si presenta in concorso con due pesantissimi premi, vinti in patria per la produzione e l'interpretazione maschile. Fulcro della storia è infatti il dolorosissimo percorso dell'anziano protagonista, per elaborare l'improvvisa morte della moglie. Ad arricchire di spessore il già delicatissimo tema è lo sguardo poetico con cui la regista approccia le storia. Come lei stessa dice, la spiegazione è tutta nel sottotitolo del film, che ha per buona parte girato in Giappone: "Hanami non è soltanto il termine per indicare i fiori di ciliegio. Rappresenta una metafora che in fondo incarna il fulcro di tutto film. La scoperta interiore che il protagonista compie, soltanto in seguito al tentativo di elaborare la perdita della moglie. Un percorso doloroso, ma che lo mette a contatto con aspetti della sua personalità che non sospettava neanche di possedere".