Judi Dench mattatrice alla 57a Berlinale. La 72enne attrice inglese ricambia i lunghi applausi dei giornalisti, trasformando la conferenza stampa del drammatico Diario di uno scandalo in un fuoco di battute e tagliente ironia. Assente il regista Richard Eyre, ad accompagnarla c'è una bellissima Cate Blanchett, con cui totalizza due delle 4 nomination agli Oscar, ottenute dal film, in Italia dal 23 febbraio. "Seguirò la cerimonia dal mio letto - risponde scaramanticamente -. Sono molto superstiziosa: ho dei rituali che devo seguire ogni sera, affinché niente mi vada storto!". A esaltare il frizzante duetto in sala è l'esasperato contrasto dei toni, rispetto alle durissime tematiche affrontate dalla storia: un incrocio di solitudini e morbosi rapporti, che si instaurano fra una professoressa quarantenne, un suo alunno e una sua amica più anziana, che vorrebbe monopolizzarne gli affetti.
Alle spalle del film, presentato a Berlino fuori concorso, è il bestseller di Zoe Heller La donna dello scandalo. "Già il romanzo mi aveva colpito moltissimo - racconta la Dench -. La prospettiva poi di scavare nella psiche umana con una storia così dolorosa era assolutamente irresistibile". Il ruolo che le affida lo sceneggiatura di Patrick Marber è infatti quello di Barbara, professoressa anziana e priva di qualsiasi affetto, che si aggrappa alla neoarrivata Sheba, per sfuggire alla sua solitudine: "Ho provato una grande immedesimazione col mio personaggio - scherza -. Anche io, quando mi è morto il gatto, gli ho fatto il funerale!". Il rapporto col personaggio della Blanchett inizia nel film poco dopo il suo arrivo a scuola. Un invito per un tè schiude le porte a una frequentazione sempre più asfissiante e malata, che finirà per trasformarsi in un vero e proprio ricatto, nei confronti dell'amica Sheba. In palio è il segreto del suo rapporto clandestino con un giovane alunno, con cui la tiene in pugno per strapparla alla famiglia. La morale del film? La Dench non ha dubbi: "Che bisogna lasciare la gente in pace e non invitare nessuno per il tè".
Ritrovata la serietà, l'attrice nega rivaluta però sfumature e percorso della sua Barbara: "Per quanto negativo - dice - anche Lady Macbeth era un personaggio bellissimo. In questo film non c'è bianco o nero, ma soltanto sfumature di grigio. La storia di entrambe le donne parla di grandi solitudini e ci insegna che anche i comportamenti più incomprensibili hanno in fondo un loro perché". L'identificazione delle protagoniste in vittime di un comune dramma è condivisa anche da Cate Blanchett. Al festival anche per Intrigo a Berlino di Soderbergh, l'attrice parla di empatia col suo personaggio: "La tragedia di Sheeba - spiega - è il profondo contrasto fra la rassicurante immagine che offre all'esterno e la realtà dei suoi sentimenti. La forza di questo film è proprio la capacità di indagare il dramma tutto interiore che l'attanaglia". Il catastrofico intreccio di affetti ed effetti solleva l'intevitabile interrogativo sulla legittimità di inseguire l'amore ad ogni costo. "Il problema - dice la Blanchett - risiede nell'accezione che diamo a questo sentimento. Nel caso di Sheeba, a muoverla è un'inconscia spinta all'autodistruzione". Se a farne le spese, sullo schermo, è il giovane Steven Connelly, il 18enne Andrew Simpson che gli presta il volto si dice invece particolarmente contento: "Mio padre è stato molto orgoglioso di me - scherza -. Mia madre mi ha autorizzato anche a proseguire nella recitazione. Purché, ha detto, la prossima volta si tratti di un ruolo diverso".