“Se si perde un marito o una moglie si dice vedova o vedovo, se perdi un padre o una madre sei orfano, quando si perde un figlio invece non c’è un termine per definire questo stato. Non esiste una parola in nessuna lingua”.

A riflettere è Katja Colja, la regista di Rosa, un film che racconta il dolore di una madre italiana (Lunetta Savino) e di un padre sloveno (Boris Cavazza) che hanno perso la loro figlia più giovane.

“L’idea è nata grazie a mia madre - prosegue Katia Colja -. Dopo il lutto per la morte di mio padre, lei è riuscita a rivivere all’età di sessantacinque anni. Volevo raccontare la rinascita di una donna. La morte è qualcosa che tocca tutti. Quella di un figlio è molto difficile da narrare con le parole e visivamente: è più facile con i silenzi”.

Protagonista assoluta di questa storia nella quale il tema della perdita si intreccia con quello della riscoperta della sessualità in età adulta è Lunetta Savino. “Ho visto in lei quella sensibilità, quella fragilità, quella poesia che cercavo per descrivere Rosa. Lei non recita, lei è vera”, dice la regista. E l’attrice: “Mi sono affidata completamente a lei. Si parla di due mondi che sono ancora dei tabù: quello della morte e quello del desiderio. È un film davvero rivoluzionario che racconta la storia di una donna che ricomincia a provare emozioni”.

Di certo non è stato semplice per lei mostrarsi nuda all’età di sessant’anni, né tantomeno fare una scena di autoerotismo. “Avevo un po’ di ansia, ma sono una temeraria. C’era anche un uomo dietro la macchina da presa, però anche lui è stato sensibile e attento nell’entrare in questo mondo profondamente femminile. Rosa ricomincia a sorridere grazie all’incontro con la parrucchiera, ai sex toys e alle chiacchiere che si fanno prettamente tra donne”, racconta Lunetta Savino, che per entrare nel ruolo si è aiutata grazie alla sua esperienza teatrale passata, come Il monologo della vagina o anche la sua interpretazione di un’insegnante di fellatio, con cui provocava il pubblico sull’argomento del sesso.

“L’autoerotismo è un tema che tocca ed emoziona in maniera un po’ pudica. Le donne non parlano tra loro di queste cose e quasi si vergognano. C’è una visione del piacere femminile molto chiusa e poco esplorata”, dice poi la regista.

L’opera prima di Katia Colja, in uscita nelle sale il 18 settembre distribuita da Minimum Fax Media, è una coproduzione Italia-Slovenia (prodotta da Minimum Fax Media e da Casablanca) e, oltre ad affrontare due grandi rimossi culturali come l’elaborazione del lutto e il piacere di una donna di una certa età, è anche un film sui confini entro i quali ciascuno vive la propria sofferenza in solitudine.

“Sono nata a Trieste, quindi sono cresciuta sul confine Italia e Slovenia - dice la regista-. Io volevo sempre superare questo confine, così come quello tra vita e morte, tra sessualità maschile e femminile, tra corpo e mente, tra amarsi e amare. Volevo andare oltre”, spiega infine la regista. E poi conclude: “La morte porta al silenzio e alla chiusura dalla vita e dal mondo. Parlo anche del risveglio della sessualità in età adulta perché non c’è età per iniziare ad amare. La vita è una continua scoperta e, anche quando invecchi, puoi continuare a guardare il mondo con gli occhi di una ragazzina”.