“Amo la comicità in modo viscerale, ma fare questo lavoro è diventato sempre più difficile perché la realtà supera ogni forma di immaginazione. Per quanto sia sopra le righe, Cetto è ormai un moderato e questo mi spaventa”. Parola di Antonio Albanese che, a distanza di sette anni, torna a vestire i panni di Cetto La Qualunque.

Terzo capitolo della saga dedicata al simbolo dei politici ciarlatani e corrotti, Cetto C’è senza dubbiamente, come i suoi due predecessori Qualunquemente (2011) e Tutto tutto niente niente (2012), è diretto da Giulio Mafredonia e sarà, per rimanere in tema, abbondantemente distribuito da Vision Distribution con 525 copie a partire dal 21 novembre.

Non era facile trovare la strada per un clamoroso ritorno del suo personaggio a Marina di Sopra in Calabria.  L’idea, che è venuta ad Antonio Albanese, che ha scritto il soggetto e la sceneggiatura del film insieme a Piero Guerrera, è stata quella di raccontare l’uomo solo al comando: Cetto La Qualunque U’ Re con un "reato tutto suo". Strana coincidenza, quasi a farlo apposta, proprio nei giorni scorsi Emanuele Filiberto di Savoia ha annunciato il fantomatico ritorno della monarchia. L’ispirazione è venuta dall’attuale politica?

“Cetto viene alimentato dalla politica- dice Albanese-. Racconta quello che ci circonda. Il soggetto lo abbiamo scritto più di un anno fa. Abbiamo cercato di dargli un punto di vista europeo, dalla Turchia alla Svezia, e abbiamo voluto esplorare un territorio che è ancora nuovo: quello della monarchia. Mi spaventa che possa esserci una sola persona alla guida di un paese e che si seguano solo le sue idee. In più mi terrorizza che i propri figli possano essere educati alla Cetto: è successo veramente che un uomo ha mandato in carcere suo figlio intestandogli delle case”.

“Racconta il nostro paese con i suoi vizi e i suoi difetti. Non è una comicità sulla politica, ma sul costume perché fa vedere come siamo noi e ha il coraggio di mettere in scena l’Italia”, aggiunge Giulio Manfredonia. E Piero Guerrera: “Cetto ti dà la possibilità di stare sul crinale tra realismo ed assurdità e di riderne. E’ stato un lusso per me lavorare con Antonio Albanese e questa squadra”.

Un personaggio ignorante, amorale, volgare e maschilista. Tante le nefandezze raccapriccianti dunque in Cetto. “Ogni volta che lo interpreto a teatro mi vergogno come una bestia- racconta Albanese-. Ognuna di queste caratteristiche mi provoca il torcicollo spasmodico, una forma di esaurimento rara e molto pericolosa. Sono tutti aspetti che odio profondamente, ma ho sentito il bisogno di esaltarli e il desiderio di mostrare questa mostruosità che continua purtroppo a convivere con noi. Il personaggio è nato un giorno in cui durante una tribuna politica ho visto un candidato tirare fuori una foto della moglie dell'avversario e urlare 'questa è una bottana, non potete votare questo cornuto’. Non è un caso che Cetto è sempre più attuale: lui è una sorta di esempio di quello che non si deve essere”.

Al contempo però si rischia però l’effetto opposto e cioè di rendere “più pop” personaggi come Salvini, proprio come recentemente è successo con il remix del discorso di Giorgia Meloni (“Io sono Giorgia”) nato in chiave critica, ma che ha avuto l’esito di renderla ancora più popolare. “Non credo possa succedere questo. Ho rispetto di questo paese. E poi allora Scorsese lo avrebbero dovuto arrestare e io dovrei fare prosa”. Infine conclude: “Il mio più grande successo è il fatto che Cetto sia diventato una maschera”.