La Cina sbarca in Italia. Peng è un cantante, una popstar, che arriva a Roma per un reality. Qui conosce Mandy, una giovane cinese orfana di madre, con la passione per la cucina. I due all’inizio non si sopportano, poi nasce qualcosa. Stiamo parlando di La ricetta italiana di Hou Zexin, che ha aperto la 24esima edizione del Far East Film Festival e sarà distribuito in Cina dal 3 giugno. Abbiamo parlato con Cristiano Bortone, regista e sceneggiatore, e qui produttore. “Il film nasce da una sceneggiatura di Alberto Simone, che da tanti anni aveva il sogno di fare questa versione moderna di Vacanze romane per la Cina. Vedendo il progetto, nato da un workshop dell’associazione europea Bridging the Dragon, pensammo che sarebbe stata la storia perfetta da vedere in una fredda serata di Pechino. È un’operazione abbastanza pionieristica, una coproduzione ufficiale tra Italia e Cina”, spiega Bortone.

Che cos’è Bridging the Dragon?

È stata fondata nel 2013 da un gruppo di produttori europei, di cui faccio parte. Il mio film Rosso come il cielo del 2006 ha avuto una grande eco in Cina in quegli anni, così ho iniziato ad andarci. Ho insegnato a Pechino, parlo cinese. Ho capito che il cinema in quel luogo stava esplodendo. Così con altri abbiamo creato Bridging the Dragon, collegando registi di Occidente e Oriente. Qualche anno fa sono anche stato managing director, e siamo nei maggiori festival nel mondo. Abbiamo venduto i diritti di 18 regali e Veloce come il vento, che diventeranno blockbuster. Abbiamo portato Wong Kar-wai a essere coproduttore di Ennio di Tornatore. Ci muoviamo in un mercato con potenzialità enormi.

Come verrà distribuito La ricetta italiana in Cina?

Con 9mila copie. Il 3 giugno è un’ottima data, da loro è festa. Con altri colleghi stiamo già pensando a nuove collaborazioni.

Come nasce il suo interesse per il cinema orientale?

Mi considero una persona curiosa. Nel nostro lavoro bisogna essere sempre molto attenti, ampliare gli orizzonti. Fin da ragazzo, dalle superiori, ho studiato la lingua cinese. A quel punto è nata una certa comprensione anche della cultura. Si tratta di tradizione. Mi appassiona esplorarla, mi sento privilegiato.

 

Come viene percepito il cinema italiano in Cina?

Bella domanda. Il passaggio da una società rurale alla modernità è avvenuto solo negli ultimi quindici anni in Cina. E questo percorso c’è stato anche per il cinema. Hanno avuto lo stesso entusiasmo, lo stesso boom che c’è stato per noi nel dopoguerra. È come se stessero vivendo tutto adesso, così noi facciamo fatica a capirli. Su certe cose ci sembrano stravaganti. Inizialmente hanno privilegiato i film popolari, ma il pubblico è talmente vasto che c’è spazio per tutti. I titoli hanno il loro seguito, anche se certi elementi restano un po’ criptici. Credo che Ennio avrà un grande successo. Tornatore è molto famoso. I cinesi restano però legati a un’idea romantica dell’Italia, come quella di Vacanze romane.

Quali sono le esigenze del mercato cinese?

Contenuti. Ne hanno un bisogno disperato. Non hanno abbastanza divi ed esperienza per soddisfare l’enorme richiesta da parte degli spettatori. Stanno cercando di mettersi al passo, soprattutto con le acquisizioni. Poi sono anche affamati di remake. Dobbiamo essere bravi nell’intercettare le loro necessità.