“Sono molto triste per quanto successo a Torino, ma c'era una questione di principio: l'esternalizzazione del lavoro al Museo del Cinema, che è un evidente problema. La questione era già stata sollevata ai primi d'agosto: lavoratori esternalizzati, salari bassi e l'ulteriore taglio del 10%, 5 lavoratori già licenziati, insomma, very unfair reasons. Tra il Museo e me c'è una differenza di principio: il datore di lavoro principale ha una responsabilità per la tutela di tutti i lavoratori, al di là del loro contratto, questo è quel che penso io, mentre il direttore del Museo ha dichiarato che il Museo non può essere considerato responsabile direttamente e indirettamente per il comportamento di terze parti. Che equivale a dire, “ci sono persone che puliscono i nostri uffici con una paga da fame, ma noi non siamo responsabili”: ebbene, io non sono d'accordo, è contro l'interesse dei lavoratori. E sono molto dispiaciuto che qualcuno abbia sentito l'esigenza di insultare quel che stavamo facendo, dicendo che sono un megalomane: è triste, io non sono megalomane, come non lo è neppure chi mi ha definito così. Io sarei andato a presentare il film, ma mi hanno ritirato l'invito”.
A Roma per presentare La parte degli angeli, così il regista Ken Loach ritorna sulla querelle che l'ha avuto protagonista al festival di Torino, di cui ha rifiutato il Gran Premio Torino per solidarietà con i lavoratori della Rear: “L'importante non è che io vada o meno a un festival, ma la gente che perde lavoro, ha salari da fame e non può avere una rappresentanza sindacale”.
Domani Loach sarà a Torino per incontrare i lavoratori della Rear, mentre dal 13 dicembre sarà nelle nostre sale con La parte degli angeli (The Angels' Share), distribuito da Bim e reduce dal premio della giuria dell'ultimo festival di Cannes. Una commedia che distilla impegno sociale e humour made in Glasgow, gioventù bruciata e whisky sofisticato: “Il mio film precedente sulla guerra in Iraq era molto duro, ho pensato fosse ora di sorridere e raccontare la storia di chi, e sono milioni in Europa, non ha né lavoro né futuro. Ho deciso di ridere con loro, perché ridere è un modo di esprimere la nostra umanità, e non vederli come semplici vittime. La commedia non è un extra, un modo di addolcire la pillola, d'altronde, potremmo considerare la commedia come una tragedia con l'happy ending. Qui al centro sono le contraddizioni del whisky: è la bevanda nazionale scozzese, ma i giovani non lo bevono perché costa troppo”.
Ma com'è cambiato l'impegno sul grande schermo? “Oggi si dice ai cineasti che tutto dipende dal mercato, e inconsciamente qualcuno cambia le proprie idee rispetto al mercato, ma non è vero che non ci siano registi impegnati. Da Occupy ai movimenti anti-guerra c'è una preoccupazione mondiale, ma per i meccanismi di finanziamento tutto questo non viene riflesso al cinema”. E il capitalismo? “Più si sviluppa, più cresce la disoccupazione, perché le multinazionali ne hanno bisogno per mantenere i salari bassi. Come sinistra dobbiamo trovare il motore contro il mercato, che non è l'unica strada percorribile”. “In Gran Bretagna – prosegue Loach – il centrosinistra si prepara a vincere, ma non credo che il centrosinistra esista: se si è a favore del mercato e della deregulation si è di destra, se si crede nell'economia pianificata e nella proprietà comune si è di sinistra. E vorrei ricordare che chi rimane al centro della strada di solito viene investito. Non so da voi, ma da noi il centrosinistra si dice d'accordo a mantenere le misure di austerità e proseguire le privatizzazioni, solo più lentamente. Ma se dovete essere strangolati, il tempo non fa la differenza”.
Se l'Unione Europea è “un'organizzazione neoliberista”, oggi – conclude Loach – “il capitalismo è davvero in crisi: è il momento giusto, dobbiamo organizzarci, stiamo strappando tutti gli elementi che rendono una società civile, come il sostegno ai disabili, mentre la sanità è in mano alle multinazionali e gli ospedali sovraffollati. Oggi non possediamo più nulla, prima avevamo metà economia, e mi piace ricordare lo slogan dei sindacati Usa: “Agitate, Educate and Organize””.