La classe operaia non va in paradiso ma semmai all'inferno. L'esperienza di Simone Weil, che alla metà degli anni trenta decide di lasciare l'insegnamento e lavorare come operaia alla catena di montaggio, viene per la prima volta portata sugli schermi con Je suis Simone, film-documentario di Fabrizio Ferrario che sarà presentato in prima mondiale al Torino Film Festival il 14 novembre. Il 17 sarà proiettato al Cinema Aquila di Roma. Ferrario, in occasione del centenario della nascita della grande pensatrice e scrittrice francese, ha cercato di rendere cinematograficamente attraente un pezzo di vita della Weil tratto dal testo La condition ouvriere, operazione non certo facile considerato lo spessore filosofico e la profonda tensione psicologica e spirituale che impregnano tutti i testi della filosofa. A 25 anni, già schierata col sindacalismo rivoluzionario, l'autrice decide di lasciare la strada dell'insegnamento per entrare in fabbrica- otto mesi dal dicembre 1934 - con le mansioni operaie più caratteristiche, passando dalla pressa alla fresa e per vari stabilimenti fra cui quello della Renault, a suo tempo installato sull'Ile Seguin alla periferia sud di Parigi. Il film, di cui sono protagoniste Claudia Landi, Giovanna Giuliana e Natascha Eyschenne, è stato girato proprio in quei luoghi, attualmente irriconoscibili in quanto sede di quartieri residenziali e di un polo artistico e scientifico. E' certamente una sfida registica e scritturale cercare di rendere, al di là dell'ambientazione e della parola, il profondo senso di compassione, di estrema sensibilità e di voglia di sperimentare in prima persona che spinge la filosofa-operaia a conoscere la sofferenza esistenziale di persone che appaiono pedine in un sistema industriale ed economico, sfruttati tra gli sfruttatori. Scriveva Simone Weil: "Se si affonda lentamente nessuno al mondo se ne accorge. Che cosa si è? Un'unità negli effettivi del lavoro. Non si conta nulla. E' già molto se si esiste".