Saimir, sedici anni, è emigrato in Italia con il padre. Cerca di integrarsi con i coetanei italiani, si innamora di una ragazzina della sua età, ma viene respinto da entrambi e inizia a frequentare un gruppo di rom che lo avviano alla criminalità. E' questa la premessa di Saimir, opera prima che il regista Francesco Munzi ha presentato fuori concorso all'Infinity Festival. Con un finale aperto alla speranza, perché il giovane si ribella e salva una ragazza albanese costretta a prostituirsi. "Nel mio film si parla dell'immigrazione, problema trascurato dalla maggior parte del cinema italiano" ha detto il regista. "Ho utilizzato la macchina da presa come una finestra sul mondo per raccontare una storia sugli stranieri, cercando di usare prima il cuore e poi la mente". E il tema dell'immigrazione sembra essere cruciale nei primi giorni della manifestazione. Se ne è discusso in un dibattito condotto dal direttore Luciano Barisone sul concetto di "confine", inteso non solo come frontiera, "ma come spazio fuori e dentro di noi. Perché ci dice quali limiti ci diamo e fino a dove arriva l'appartenenza a una terra e una comunità", hanno sottolineato i critici cinematografici Bruno Fornara  e Leonardo Gandini, ospiti della tavola rotonda. Dello stesso parere anche Sergio Tréfaut, regista di Lisboners (fuori concorso), per il quale "fare un film significa sconfinare. A Lisbona vivono molti immigrati e il mio mostra come non esistano più barriere tra loro e i cittadini portoghesi".
E' stato invece un tedesco a inaugurare il concorso, l'interessante Willenbrock di Andreas Dresen (già presentato al 55esimo festival di Berlino), in cui un uomo di mezza età, un vero playboy nonostante l'aspetto, dopo una serie di sfortunate coincidenze riscopre il valore dei rapporti umani. Attesa per l'unico film italiano in concorso, Onde dell'esordiente Francesco Fei, che sarà proiettato stasera alla presenza del regista.