Dopo aver conquistato e commosso il pubblico e la critica del festival di Toronto, arriva anche in Italia l'Oliver Twist diretto da Roman Polanski. Il film, ispirato al celebre romanzo di Charles Dickens e adattato fedelmente per il grande schermo da Ronald Harwood, uscirà domani distribuito dalla Medusa e per presentarlo, oggi a Roma, c'era il regista che, in ottima forma, ha più volte strappato applausi e risate ai giornalisti. "C'è molto di me in questo film - spiega Polanski -. Ci sono grandi momenti, sia nel libro sia nella pellicola, che mi ricordano esperienze vissute nella mia infanzia, gli stessi sentimenti e le stesse sensazioni che ha provato Oliver Twist le ho vissute in prima persona alla sua età, quando ero un orfano e mi sentivo solo e abbandonato da tutti". Ma non è questo il motivo "che mi ha spinto a realizzare questo film" chiarisce il regista. Di trasposizioni per il cinema e la televisione il libro, pubblicato inizialmente in dispense dallo scrittore inglese tra il 1837 e il 1839, ne conta numerose, comprese quella del '22 firmato da Frank Lloyd e quella del '48 diretto da David Lean con Alec Guinness. "Io ho deciso che avrei fatto un film ispirato a questo romanzo dopo aver visto il musical - spiega ancora il regista -. Ho pensato fosse un peccato che non esistesse un adattamento contemporaneo che rispettasse le atmosfere, la trama e lo stato d'animo del libro e dei suoi personaggi. Nel musical tutto è gioioso, ma quella di Oliver Twist è una storia triste". Siamo nella Londra del XIX. Tutto ha inizio quando una vagabonda muore dopo aver dato alla luce un bambino. Il piccolo viene accolto nell'orfanotrofio gestito dal perfido sig. Bumble (Jeremy Swift) e vi rimane per nove anni, fino a quando, stanco di subire vessazioni di ogni genere, decide di scappare. Si unisce così a un gruppo di ladruncoli di strada che fanno capo al vecchio Fagin (uno straordinario Ben Kingsley), ma viene arrestato e portato in prigione. Ad aiutarlo sarà il ricco sig. Brownlow (Edward Hardwicke), che dopo averlo fatto scagionare da ogni accusa lo accoglie in casa sua. I parallelismi con quanto accade oggi in molti Paesi del mondo si sprecano. "La Londra dell'epoca cresceva alla stessa velocità con la quale oggi si sta sviluppando la Cina - spiega Polanski - e anche i problemi sono comuni, c'è una forte ondata di immigrazione interna, con gente che abbandona le campagne per trovare lavoro nelle grandi città e non fa che andare a rimpolpare la comunità di reietti e disoccupati di cui sono piene le periferie. Anche in Europa non si può dire che stiamo meglio: la disoccupazione c'era allora e c'è anche oggi. Ma se potessi, sceglierei di tornare nel passato, il mondo contemporaneo non mi piace per niente e non lo dico con lo spirito di quei vecchietti che rimpiangono i tempi andati. A 72 anni io mi sento ancora un giovanotto". Polanski rifiuta di definire il suo film l'anti-Harry Potter ("come dicono i francesi ci vuole di tutto per fare il mondo" ironizza) e parla della sua collaborazione con Kingsley, con il quale torna a lavorare a 11 anni di distanza da La morte e la fanciulla: "Sul set a un certo punto mi sono reso conto che andava oltre quello che era il suo personaggio, ma l'ho lasciato fare perché ha gli ha saputo conferire  maggiore profondità. In fondo Fagin non era totalmente cattivo ma aveva anche un cuore, come dimostra la bella scena di perdono con cui si chiude il film". Quanto al piccolo protagonista Barney Clark, "non volevo un volto angelico - dice il regista - ma una faccia la cui innocenza risultasse convincente". Una delle cose più divertenti? "E' stato insegnare a lui e agli altri giovani interpreti a borseggiare le persone".