Le storie della serialità israeliana e i segreti del suo successo internazionale sono al centro della cover story del numero di maggio della Rivista del Cinematografo, disponibile dal 1°maggio e acquistabile al link www.cinematografo.it/riviste/ o scrivendo a abbonamenti@entespettacolo.org.

Un'ampia e approfondita riflessione su una new wave che si sta imponendo fuori dai confini locali, grazie a prodotti di qualità capaci di parlare al pubblico di tutto il mondo: dall’ormai classico In Treatment, geniale format sulla psicanalisi esportato e adattato in moltissime nazioni (Italia compresa), a fenomeni esplosi sulle piattaforme streaming come il drammatico Unhortodox, senza dimenticare i remake occidentali delle serie israeliane Homeland, Euphoria e Your Honor.

Una produzione che risente anche degli equilibri geopolitici, come spiega il direttore de La Repubblica Maurizio Molinari, per molti anni inviato in Israele, in un’intervista rilasciata in esclusiva a Marco Bardazzi: «Dietro al successo della serialità, c'è l'idea che l’audiovisivo possa normalizzare il ruolo della nazione sullo scacchiere internazionale» spiega il direttore, proponendo una lettura in chiave geopolitica dell’interesse globale verso le storie israeliane.

Un legame, quello tra cronaca e serialità, che Federico Pontiggia analizza focalizzandosi sulla nuova narrazione del Mossad, l'Istituto israeliano per l'intelligence e servizi speciali: se prima «agiva col favore delle tenebre - scrive - ora ha scelto la luce, ha deciso di farsi vedere. Segreti nucleari trafugati, assassini eccellenti, nella realtà, Tehran, The Spy, False Flag, Fauda, sugli schermi, è tutto un disvelamento: perché?».

«Quando si tratta di serie – scrive Marzia Gandolfi entrando nel cuore di Shtisel – gli israeliani sanno bene cosa fare. Osano tutto con un certo successo». La serie, giunta alla terza stagione, con rispetto e umorismo racconta le relazioni all'interno di una comunità religiosa in un modo fuori dagli schemi: «Quando si tratta di serie – scrive nella sua analisi – gli israeliani sanno bene cosa fare. Osano tutto con un certo successo».

Il successo di Shtisel - i cui personaggi compaiono nella cover illustrata da Mara Cerri - non rappresenta un caso isolato, ma si colloca all’interno di un sistema virtuoso e in costante espansione, del quale Gian Luca Pisacane scandaglia in profondità le caratteristiche lo rendono così particolare nel panorama globale.

Dietro questi successi c’è «un grado elevato di professionalità in tutti i campi, dalla recitazione alla produzione» come spiega la produttrice Yael Perlov, intervistata da Marina Sanna. Produttrice da tempo impegnata nel processo di integrazione israelopalestinese con diversi progetti, dal 1994 docente di montaggio presso il Dipartimento di Cinema all'Università di Tel Aviv, parla di «una sorta di rinascimento da osservare con attenzione perché la tecnologia e le piattaforme potrebbero, nella peggiore delle ipotesi, trasformare le nostre sale in musei vuoti e dimenticati. Ma sono ottimista».

Anche Gianluca Arnone spiega il successo della produzione israeliana, conducendo la sua analisi dei relativi stratagemmi narrativi, e individua nel «conflitto morale» il «motore ideologico e narrativo della serialità israeliana».

Tra le recensioni del mese, quella su Minari, vincitore del premio per la migliore attrice non protagonista a Yoon Yeo-jeong. E poi ancora due film premiati agli Oscar, Judas and the Black Messiah (miglior attore non protagonista a Daniel Kaluuya e miglior canzone originale) e il vincitore della categoria dei documentari Il mio amico in fondo al mare.

Anche nel numero di maggio, lo spazio dedicato alla formazione dei giovani spettatori, Sapere Vedere. “Un metodo da inventare”, di Simona Busni, appuntamento mensile con l’approfondimento di questioni aperte sulla didattica del cinema. Proseguono le collaborazioni con Scelte di classe e Orientaserie, per accompagnare e guidare i ragazzi nella visione di film e serie tv.

Come sempre spazio alle rubriche di Gianni Riotta, Nadia Terranova, Giacomo Poretti, Bruno Fornara e Chiara Tagliaferri.

«Da dove ripartirà il cinema lo vedo quotidianamente negli occhi di 105 persone. Donne e uomini, operai e liberi professionisti, adolescenti e pensionati: da due mesi seguono un percorso di formazione a distanza per prepararsi a realizzare il loro sogno: riaprire (in presenza) un cinema teatro – si legge nell'editoriale di mons. Davide Milani, direttore della Rivista – (…) 105 persone, come altre decine di migliaia in Italia in cineclub, sale della comunità, circoli culturali che se sostenute e riconosciute possono moltiplicare e dare forza al settore e rianimare il Paese ferito. Il lavoro di Fondazione Ente dello Spettacolo nutre ed esalta in Italia la passione di persone cosi, si mette al loro servizio. Questo il senso ultimo e il fine della nostra missione».