Genio o grande bluff? Una domanda frequente quando si parla di David Fincher, autore di capolavori come Seven o Fight Club, ma anche di flop artistici e commerciali non indifferenti. Il regista preferito delle grandi star del Rock (Aerosmith, Sting, Madonna, George Michael dei quali ha girato bellissimi videoclip) arriva sulla Croisette con Zodiac. Terzo film di un concorso finora sontuoso. E' la storia di Robert Graysmith, un sempre più maturo Jake Gyllenhaal, vignettista del "San Francisco Chronicle", ossessionato appunto da Zodiac, soprannome del serial killer che dal 1969 terrorizzò la California. "E' un film sull'ossessione - dice il produttore Devoy -. Quella omicida dell'assassino, quella investigativa di Bob, quella isterica di una popolazione terrorizzata". Il thriller, applaudito alla fine della proiezione per la stampa, ci accompagna per più di un decennio nella vita di Graysmith - autore del best seller omonimo -, che indaga parallelamente e al posto della polizia in una San Francisco tanto hippie quanto cupa. Con lui Paul Avery (Robert Downey Jr., sempre perfetto), cronista d'assalto, e David Toschi (Mark Ruffalo) investigatore mai domo. Un film che tiene incollati alla sedia per quasi 160 minuti, l'avvincente storia di un cocente fallimento (si trovò forse il colpevole, tale Leigh Allen, ma non il modo di incastrarlo). Un saggio sulla follia, ma anche un'analisi politica sul passato e l'attualità, su terrore e terrorismo. "Credo sia un film sullo studio di un personaggio - esordisce un soddisfatto David Fincher -. Abbiamo cercato di trattare la materia con grande rigore, senza drammatizzare l'isteria collettiva, per esempio. Il parallelo con il terrorismo è un po' audace e sicuramente non diretto, ma certo in qualche modo è inevitabile e giusto". Quella di Fincher è stata una folgorazione. "Lavoravo ad altro, poi mi è capitato in mano questo libro. Era perfetto, straordinario, trattava con forza l'aspetto storico, narrativo e anche politico". In un'America di contestazioni, solo intuite, infatti, si muove un assassino seriale imprendibile. La polizia brancola nel buio e ha le mani legate. Come sempre con Fincher, ci si divide tra interpretazioni reazionarie e progressiste. "Ogni volta che fai un film assumi dei rischi - commenta il protagonista Jake Gyllenhall -, a maggior ragione se ti trovi tra le mani una sceneggiatura del genere. Senti formarsi su di te film e realtà. Ma il pubblico è intelligente e capisce e accetta questi "pericoli". Compresi gli errori della stampa e delle forze dell'ordine". E' un film pieno di errori umani, come sempre il cineasta ama rilevare nelle sue opere, e con citazioni riuscite. Quella che vede i duetti di Downey Jr. e del protagonista sembrano piccoli remake riusciti di Tutti gli uomini del presidente. "Robert è fantastico - continua Gyllenhaal - un attore atipico e allo stesso tempo classico. Ha ritmo, è jazz. Con lui ho scoperto nuove emozioni, ho imparato". Nella parte della moglie del disegnatore - detective la sempre incantevole Chloe Sevigny. "Non è stato facile. Abbiamo incontrato le persone che interpretavamo, ci abbiamo parlato e gli abbiamo promesso rispetto. Per noi è stato essenziale. La moglie di Bob mi contestava tutto, dall'abbigliamento al lavoro. Ma è stata una bella sfida fare un personaggio così serio e concreto, e soprattutto lavorare con David. E naturalmente con Jake, quale attrice e quale donna non vorrebbe?". Ruffalo, infine, non sembra essere uscito del tutto dal suo ruolo di sbirro. "Con Dave (Toschi) ho subito un terzo grado, diffidava di un "hollywoodiano", come mi chiamava. Poi ha capito quanto lo rispettassi, abbiamo parlato per ore, soprattutto di terrorismo. E di quanto per sconfiggerlo serva ciò che abbiamo usato noi nel film: grande scrupolo, rigore, obbedienza alle regole e professionalità". La stessa che si ritrova in questo film: Zodiac, in Italia distribuito dalla Warner Bros. dal 18 maggio, sembra avere un oroscopo favorevole qui a Cannes. E le sue stelle non stanno a guardare.