È stata davvero una maestra, Cecilia Mangini, scomparsa ieri all'età di 93 anni. La prima documentarista italiana, dicono i profili biografici, ma sembra riduttivo nonostante il primato storico: in un mondo di maschi, Mangini ha dettato la linea di quello che oggi chiamiamo "il cinema del reale". Una pioniera.

Pugliese di Mola di Bari, classe 1927, all'inizio degli anni Cinquanta Mangini si trasferisce a Roma per dedicarsi alla fotografia di strada, sulla scia del neorealismo. Si avvicina all'attività cinematografica prima collaborando con il marito, il regista Lino Del Fra, poi mettendosi lei stessa dietro la macchina da presa. Il giovane produttore Fulvio Lucisano le propone di dedicarsi ai cortometraggi di documentario.

Nel 1958 debutta con il cortometraggio a colori Ignoti alla città, ispirato al romanzo Ragazzi di vita di Pier Paolo Pasolini, osteggiato dalla censura ed escluso dalla Mostra del Cinema di Venezia. Nel 1962 Mangini e Pasolini tornano a collaborare in La canta delle Marane, considerato tra i migliori documentari italiani, dove si segue il quotidiano di una banda di ragazzini alla periferia della Capitale. Il tema delle periferie ritornerà nel 1974 con La briglia sul collo, cortometraggio su un alunno ribelle del popolare quartiere romano San Basilio. Mangini lavora anche con Vasco Pratolini: con i testi dello scrittore toscano la regista dirige nel 1959 La Firenze di Pratolini, spaccato della vita fiorentina non ancora alterata dal turismo.

Cecilia Mangini

Del 1959 è Stendalì – Suonano ancora, capolavoro etnografico, sulla scia degli studi di Ernesto De Martino, che testimonia uno degli ultimi esempi dell'antichissimo rito di lamentazione funebre che sopravviveva ancora, all'epoca, in Puglia. Sempre nel cuore della sua regione natia è Maria e i giorni (1960), che ha per protagonista l'anziana conduttrice di una masseria, in passato concubina di un signorotto locale che si divideva tra Napoli e quest’angolo di Puglia.

Con Del Fra e Lino Micciché, Mangini esordisce nel lungometraggio con All’armi siam fascisti! (1961), commissionato dal Partito Socialista Italiano: documentario militante, a cui collaborò anche Franco Fortini, che ricostruisce  l’ascesa e il declino del movimento fascista in Italia raccontando anche i moti di Genova durante il turbolento governo Tambroni, appoggiato nel 1960 dal Movimento Sociale Italiano. I quattro tornano insieme nel 1963 con La statua di Stalin, ma furono costretti a disconoscerne la paternità dopo che la produzione ne impone pesanti rimaneggiamenti: uscirà poi con il titolo Processo a Stalin e sarà accreditato solo al produttore Fulvio Lucisano e al montatore Renato May.

Con Divino Amore (1961) esplora la religiosità popolare, mentre nel mediometraggio Essere donne (1964), commissionato dal Partito Comunista, si occupa della condizione femminile in Italia negli anni del boom, ma ne viene impedita la distribuzione. Continua a scandagliare le contraddizioni del miracolo economico e ciò che resta della civiltà contadina in Felice Natale (1965), Brindisi ’65 (1966), Tommaso (1967).

Intellettuale vera, Mangini affronta anche temi come la guerra fredda (O Trieste del mio cuore, 1964), l’eutanasia (La scelta, 1967), lo sport come emancipazine (Pugili a Brugherio, 1969). Partecipa alla scrittura della sceneggiatura di La villeggiatura (1973) e dei lungometraggi diretta dal marito: La torta in cielo (1973), Antonio Gramsci - I giorni del carcere (1977), Klon (1994). Sempre con Del Fra realizza Comizi d’amore '80 (1983).

Dopo una lunga pausa, negli ultimi anni, in concomitanza con la vitale stagione del documentario italiano, Mangini riceve una rinnovata visibilità. Ormai riconosciuta maestra del cinema del reale, è omaggiata da festival e allievi: nel 2012 torna alla regia con Mariangela Barbanente in In viaggio con Cecilia, viaggio in una Puglia ormai industrializzata e senza alcun legame con la cultura popolare.

Premiata a novembre dal Torino Film Festival con il Premio Maria Adriana Prolo, Mangini presenta l'inedito Due scatole dimenticata, documentario che recupera materiale girato con Del Fra sul Vietnam del Nord tra il 1964 e il 1965.

https://www.youtube.com/watch?v=PNzoBkiUd7I

Nel saggio Cinema tra contaminazione del reale e politica (Edizioni Fondazione Ente dello Spettacolo, 2020), Mirco Melanco ha indagato il sottile confine che esiste tra politica e cinema in una dimensione del reale legata in particolare ai comparti storici nei quali i film sono stati prodotti, realizzati e “contaminati”. Un viaggio identitario all’interno del ventesimo secolo, alla scoperta di forme e modalità filmiche che hanno caratterizzato il percorso di alcuni autori intimamente connessi all’epoca in cui sono vissuti. Come Cecilia Mangini, che con il suo patrimonio filmico ha lasciato una testimonianza e una memoria indelebile di un passato fatto di mondi altrimenti perduti.