(Cinematografo.it/Adnkronos) - “Se potessi, vorrei portare ai giovani più decisione e chiarezza sui fatti della vita. Perché credo che le nuove generazioni, soprattutto in Brasile, siano sotto una nube di disinformazione”.

Caetano Veloso ospite d’eccezione alla 77ma Mostra di Venezia: in collegamento dal Brasile, il grande artista ha presentato insieme ai registi Renato Terra e Ricardo Calil il documentario incentrato su di lui Narciso Em Férias, in cui ricorda il suo arresto durante la dittatura militare avvenuto il 27 dicembre del 1968, quando lui e Gilberto Gil furono prelevati dalle loro case a San Paolo e messi, senza spiegazione, in isolamento e poi in carcere.

Ora, 52 anni dopo, Veloso racconta quei 54 giorni di prigione, grazie all’aiuto dei due registi Renato Terra e Ricardo Calil.

“Avevo un ricordo molto chiaro della mia esperienza in prigione perché ho una grande memoria e alla mia testa piace molto ricordare”, ha detto Veloso ai giornalisti, sottolineando di non essere stato a conoscenza dell’esistenza dei documenti la scoperta dei quali, tanti anni dopo, ha dato origine all’idea del video.

“Non sapevo dell’esistenza dei documenti. Io mi ricordavo esattamente dell’interrogatorio, ma non sapevo ci fossero dei documenti tanto che quando ci hanno trasferito dalla prigione di Rio a Salvador non c’erano carte”, spiega. E dovendo ipotizzare le cause di quanto gli è accaduto, il suo essere artista è sicuramente tra i motivi principali.

Caetano Veloso in una scena del documentario

“La creazione artistica in una certa misura rappresenta una minaccia quando si è governati da una struttura autoritaria -spiega Veloso- La creazione culturale ha sempre la possibilità di mettere in crisi la costruzione di una struttura di potere autoritario. È inevitabile”.

Il cantautore fa dunque un parallelo tra la situazione attuale e quella del ‘68. “Attualmente, in Brasile abbiamo un abbozzo di autoritarismo, che crea una situazione di intasamento della democrazia, impedendo la circolazione delle idee, dei diritti, della partecipazione - analizza- Però la situazione di oggi è diversa da quella del ‘68. Adesso c’è una specie di rete che cerca di corrodere i principi democratici, cerca in tutti i modi un sistema di potere autoritario, un modo di gestire la cosa pubblica che non è democratico. Adesso c’è una situazione di paura di perdere i propri diritti”.

Come racconta Veloso nel documentario, in carcere c’è stato un brano che gli ha regalato speranza e forza, ed è Hey Jude dei Beatles, che il soldato che faceva Ia guardia alla sua porta metteva spesso.

“È una canzone che ha una luce, in qualche modo brilla, e in prigione mi trasmetteva un’idea di futuro, di libertà”, dice Veloso.

Lo stile scelto per girare Narciso Em Ferias è “una forma minimalista -spiegano i registi- Abbiamo girato un’intervista di cinque, sei ore con Caetano, e quando abbiamo rivisto il materiale abbiamo notato che le sue memorie venivano a galla in modo molto potente. Quindi abbiamo scelto una forma minimalista in modo da potenziare il suo contatto con i suoi ricordi”. Un minimalismo che si nota “negli sguardi, nelle pause, e ha dato la rilevanza necessaria al contenuto”.

Il regista Renato Terra (Foto: Bruno Santos/ Folhapress)

Il regista Ricardo Calil (Credits Dudu Levy)

 

 

 

 

 

 

 

 

“Non abbiamo voluto dare con il film un messaggio ideologico -sottolineano i due cineasti- Il momento politico è un sottotetto del film, certo. Nelle parole di Caetano c’è il 68, ma allo stesso tempo c’è anche un allerta, per richiamare l’attenzione. Anche senza parlare del presente, è un richiamo a che le persone stiano attente affinché non accada di nuovo quella violenza”.

“Il mio rapporto col cinema italiano? A 15 anni ho visto ‘La Strada’ di Fellini ed è cambiata la mia vita. Ho pianto, avevo 15 anni vivevo a Bahia. Mi ha segnato è così mi sono innamorato del cinema italiano”, svela Veloso, che aggiunge: “Fellini, Visconti, Rocco e i suoi fratelli, è stato un percorso e poi tutto questo porta all’incontro con Antonioni di cui vado fiero - dice ancora l’artista, che è stato grande amico del regista italiano - ed è stato per me un onore”.

Veloso ricorda il contesto in cui lo conobbe, citando anche un delizioso aneddoto. “Lui era venuto in Brasile per il festival, e due miei amici registi l’hanno invitato a cena e ho avuto modo di conoscerlo. Non parlava più, ma comunicava tramite sua moglie, faceva solo dei gesti, lei traduceva e lui la correggeva. C’era molta allegria e gioia tra loro”, ricorda il maestro brasiliano.

Infine, sulla stretta attualità legata al Coronavirus e alla situazione mondiale, Veloso dice: "Tornare indietro ad una vita ‘prima del Coronavirus’? Non credo sia possibile. Dobbiamo trovare il modo di affrontare questo controllo malefico delle nostre vite, e le fantasie di dominio totale che ci sono intorno. Ci sono già state altre epidemie, non è una cosa che deriva dal nulla, non ci ha colto di sorpresa -dice Veloso- Quello che è nuovo e la velocità delle dimensioni che ha assunto”.

 

Secondo l'artista brasiliano, “i media hanno un ruolo fondamentale, perché hanno bisogno di notizie forti e questa notizia è forte”, osserva. E se è vero che sono sorte una serie di “teorie complottiste come teorie alternative a quelle ufficiali”, in realtà la situazione “è in evoluzione, e il mondo deve imparare a conviverci”.