Il “viaggio sentimentale negli anni ‘50” che compiono Steve Della Casa e Chiara Ronchini è più o meno un prequel del loro precedente film, Nessuno mi può giudicare. Laddove in quello si raccontavano gli anni ’60 attraverso i musicarelli, in Bulli e pupe (presentato nella sezione Festa mobile al Torino Film Festival) invece lo sguardo sul decennio è a tutto campo, raccontando il decennio dalla ricostruzione fino all’avvento del boom e del miracolo economico.

“Volevo abbattere – dice Della Casa – la divisione in blocchi degli italiani, da un lato i democristiani e dall’altro i comunisti, come si fa spesso nei racconti del periodo, volevo che emergesse l’evoluzione e la varietà di atteggiamenti della popolazione, gli elementi di cambiamento e modernità che molti intellettuali avevano colto”. E il film infatti dà la voce a molti di quegli scrittori e pensatori che rifletterono sulla loro contemporaneità tanto attraverso le letture dei loro scritti quanto con le testimonianze radiofoniche, uno dei molti materiali che i due registi hanno scandagliato per ricostruire l’affresco: ci sono i materiali dell’Istituto Luce, i film Titanus, i super 8 e le registrazioni audio con i quali Della Casa e Ronchini hanno composto il film.

“Abbiamo cercato – dichiara Ronchini – di decostruire l’immaginario dell’epoca per proporre una specie di sociologia dal basso in grado di rileggerne la storia e di individuare degli elementi importanti rispetto anche al presente, come il rapporto mutevole tra aspirazioni libertarie e restaurazione tradizionale, l’emergere del femminismo e l’impianto maschilista della società”. E nella sua ricchezza di temi e suggestioni, nelle sue fonti varie e nei materiali molto eterogenei, Bulli e pupe sa comunicare un’epoca senza nostalgie, equilibrando la passione per l’epoca e i suoi miti, lo sguardo riflessivo e un lavoro di ricerca notevole, “durato anche più del montaggio” secondo Ronchini che del montaggio si è occupata in prima persona.

“Gli americani entrarono in Italia in tanti modi, attraverso la guerra (il film si apre con Montecassino distrutta dagli alleati, N.d.A.) ma anche attraverso modi di vita, costumi, consumi culturali”. E una delle parti più illuminanti di Bulli e pupe è proprio l’aver fatto del tempo libero e della sua organizzazione libera uno dei baluardi della nuova civiltà repubblicana e post-bellica, di felice importazione statunitense, lo si nota nell’importanza data agli spezzoni dei film e alle canzoni popolari, le due arti di cui l’immaginario di Steve Della Casa si è sempre nutrito e su cui ha sempre lavorato.

Bulli e pupe è quindi ancora più interessante del precedente film, con cui forma un dittico che potrebbe – stando alle ambizioni dei due registi – diventare trilogia raccontando gli anni ’70: un atto di riflessione a partire dall’uso critico delle testimonianze e dei materiali più o meno mediati e un omaggio a quei materiali, a quella vitalità intellettiva e culturale.