Androgino, tenebroso, violento, passionale, autoritario, scavezzacollo, ma capace di farsi attribuire il titolo di defensor fidei da Papa Leone X, nel 1521, per la sua presa di posizione contro Lutero, cadendo poi nella scomunica con Clemente VII, dodici anni più tardi e dando inizio alla Chiesa anglicana, dopo essere stato travolto dalla passione per Anna Bolena ed aver ripudiato la sposa legittima, Caterina d'Aragona, prime delle sei famose mogli, tutte finite più o meno male. Cortigiani infidi oppure sfacciatamente leali per interesse e bramosia di potere, tradimenti e alcove, banchetti e tribunali, gli odiati francesi prima blanditi poi combattuti, l'ombra dell'Impero di Carlo V a sovrastare le terre del regno e minare gli interessi commerciali del medesimo. L'universalismo cristiano che si sgretola sotto i colpi dei grandi scismi. Sono anni storicamente affascinanti e di non facile lettura, anni che pongono le fondamenta dei tempi moderni, di cui siamo eredi e di cui, per certi versi, soffriamo ancora l'eredità. La televisione, quando si inerpica su tali frastagliate strade espositive, crea oggi "serie" capaci di adattare al gusto moderno i fatti conosciuti e sconosciuti del passato. I Tudors, 10 puntate prodotte in grande stile da Showtime ed andate in onda la scorsa primavera - da noi arriveranno in autunno - assemblano un cast eccellente ed una sceneggiatura di Michael Hirst tanto televisivamente efficace quanto labile sul piano della verità storica. Inizia la prima serie, formata da dieci puntate (ne abbiamo viste due), con Enrico quasi trentenne che passa dai letti ai campi di battaglia; termina con la caduta in disgrazia del potente cardinale Wolsey. Il primo è Jonathan Rhys Meyers, bravissimo e bello come non lo era certamente Enrico; il secondo è Sam Neill, opportunamente educato nell'assumere i panni dell'ecclesiastico corrotto (ma all'epoca molti stili erano d'uso tra i principi della Chiesa). Scorrono le immagini di personaggi famosi: Thomas More e John Fisher (che, come molti, ci rimetteranno la testa), Thomas Cromwell, i Duchi di Norflok e di Buckingham, la piccola Mary (alla quale, anni più tardi, verrà affibbiato l'epiteto di "sanguinaria"), Margaret Tudor, Charles Brandon. Un vortice di duelli, accoppiamenti, pugnalate, nascite e morti, e una pericolosa politica in contrasto con quel mondo ideale che proprio More, da primo intellettuale veramente europeo, aveva perdutamente immaginato e rimpianto nella sua Utopia. Se ne vedranno ancora molte, di congiure e battaglie, ed approderà nella seconda serie, vestendo i panni di Paolo III Farnese, il nobile Peter O'Toole, alle prese per la prima volta, nella sua lunga carriera, con una serie televisiva. Che gli affida, però, uno splendido ruolo per una grande storia.