Prima giornata a pieno ritmo per il Concorso della settantaduesima Berlinale con tre opere che non sono riuscite a convincere, nonostante gli evidenti sforzi degli autori. La svizzera Ursula Meier torna in gara a dieci anni da Sister con La ligne, un dramma familiare al femminile che rivisita il tema del confine nei rapporti umani, da sempre caro all'autrice.

In questo nuovo lungometraggio, il confine si materializza nella distanza di 100 metri dalla casa di famiglia a cui si deve attenere per tre mesi la protagonista Margaret (un'ottima Stéphanie Blanchoud). Un ordine restrittivo del giudice, infatti, le impone di tenersi lontana dalla madre (Valeria Bruni Tedeschi), a seguito di un brutale episodio di violenza domestica. Margaret, però, è una testa calda e con la collaborazione della devota sorellina Marion (Elli Spagnolo) cerca di riavvicinarsi alla madre - ex pianista che a causa della violenza di Margaret ha perso l'udito ad un orecchio.

>Un intreccio di rapporti familiari tutto tra donne su cui si innestano pure la terza sorella Louise (India Aire), prima gravida, poi partoriente di due gemelle, e, quasi come meri accessori, un paio d'uomini: la nuova fiamma della madre, il giovane e belloccio Hervé (Dali Besallah), e Julien (Benjamin Biolay), l'amico compositore che accoglie in casa Margaret. Ben fotografato (da Agnès Godard) e ben recitato, in un registro curiosamente in bilico tra il dramma e il bizzarro, La ligne non riesce a valicare il limite stesso del suo approccio teorico e a portare lo spettatore al cuore di un dramma che rimane più scritto che realmente incarnato nei suoi personaggi.

Un personaggio travolgente ed esilarante è invece al centro del racconto del nuovo film di Ulrich Seidl, Rimini. Ambientato in un'insolita e inattesa riviera adriatica abbandonata al freddo e alle nebbie dell'inverno, il film di Seidl racconta di Richie Bravo, memorabile e stravagante entertainer austriaco che canta per gruppi di turisti germanofoni e che intrattiene pure in privato alcune signore, a mo' di gigolò della terza età.

>La messa in campo dei luoghi, dei personaggi e delle situazioni è condotta da Seidl con il consueto sguardo clinico che ne esalta la cruda assurdità, in un effetto ironico spiazzante. Ed è questa sicuramente la parte più riuscita del film. Allorché però la necessità di un costrutto narrativo si palesa, con la comparsa della figlia 'dimenticata' di Richie Bravo, l'intenzionalità e l'evidenza del commento umano e sociale diviene sin troppo scoperta. L'invasione gitana che Richie Bravo subisce allorché cerca di riparare agli errori del passato, accogliendo 'a braccia aperte' la figlia e il suo partner è un contrappasso sin troppo manifesto per le sue radici legate al passato nazista dell'Austria. Nonostante l'avvio folgorante, si approda quindi a lidi già esplorati in maniera più dirompente dall'autore – il che non toglie che Rimini potrebbe divertire e incuriosire assai chi non abbia familiarità con Seidl.

Una delusione senza appello s'è rivelato invece Manto de gemas, primo lungometraggio di Natalia López Gallardo, montatrice e moglie di Carlos Reygadas. Nel Messico delle disparità sociali tra ricchi proprietari e poveri aiuti domestici, dei rapimenti e scomparse e della collusione tra forze dell'ordine e criminalità, visto di recente tanto nei film di Michel Franco quanto nel rimarchevole La civil di Teodora Mihai, Natalia López Gallardo cerca di comporre un racconto ellittico e pensoso, votato ad una ricerca formale puntigliosa che fa inevitabilmente pensare a La ciénaga di Lucrecia Martel e ai molti epigoni che l'hanno seguita. Ma Manto de gemas si perde in un'affettazione stilistica che svuota racconto e personaggi, tradendo una vacuità che non si addice al contesto raccontato.

Sul fronte delle prime di Berlinale Special, segnaliamo un altro passo falso d'autore, quello compiuto da Quentin Dupieux con Incroyable mais vrai. Invero, Dupieux parte in quarta, con una premessa esilarante. La coppia dei protagonisti, infatti, trasloca in una casa con un segreto: una botola in cantina che riconduce agli stessi spazi della casa, ma indietro nel tempo, permettendo di ringiovanire ad ogni passaggio! Da tale incipit, Dupieux imbastisce situazioni strampalate e ilari, ma s'incarta poi nell'impasse di un epilogo pigro e affrettato.

Sempre a Berlinale Special, positiva sorpresa e rispettosa accoglienza per il ritorno di Dario Argento con Occhiali neri. Di imminente uscita anche nelle sale italiane, il nuovo lavoro del maestro del giallo è un ritorno di forma che ne conferma la coerenza estetica e la sapienza di cinema.

Occhiali neri si apre su un malioso prologo in cui la protagonista Diana (Ilenia Pastorelli) assiste ad un'eclissi di sole in un'afosa Roma dell'EUR. Un presagio della cecità che colpirà la giovane escort di lusso allorché diviene l'ennesima vittima (mancata) di un assassino seriale che si accanisce sulle prostitute d'alto bordo. Ma l'iniziale costruzione del mistero non che è un pretesto per scivolare progressivamente dal territorio del giallo nel reame della favola nera, condita di perle e suggestioni del repertorio letterario e cinematografico del fantastico che, tra un'eroica cagna guida, un tenero bambino cinese in fuga dall'istituto di accoglienza e un truce 'canaro', condividono con lo spettatore il divertimento (anche crudele) con cui Argento ha imbastito Occhiali neri. Senza dimenticare il contributo eccellente di Asia Argento che qui offre una delle sue prove più mature e misurate, in un ruolo che nei classici di Argento sarebbe ben calzato a Daria Nicolodi.