“Ho cercato di riflettere su ciò che è invisibile, totalmente normalizzato e quotidiano. Non volevo dare delle risposte, ma porre degli interrogativi”. A parlare è Adele Tulli (classe 1982) che ha diretto il documentario Normal, in uscita nelle nostre sale.

Presentato in anteprima mondiale nella sezione Panorama della Berlinale, questo film ci conduce in un viaggio nelle norme e nelle convezioni di genere del nostro paese, mostrandoci un affresco dei rituali e delle cerimonie sociali che ci circondano e alle quali ormai non facciamo nemmeno più caso.

“Tutto è partito da una ricerca di dottorato che stavo facendo a Londra in cinema teorico/pratico- racconta Adele Tulli-. L’idea era quella di usare il documentario per articolare una riflessione su quelle che sono le dinamiche di genere, che ci influenzano ad ogni livello della vita, da quando nasciamo. Era il 2015 e in quel periodo, nel nostro paese, si parlava molto di gender. Insomma era un tema caldo e al centro del dibattito politico”.

Prima di realizzare questo doc la regista ha conversato a lungo con tanta gente sconosciuta di diverse parti d’Italia: “Facevo dei viaggi con Blablacar (piattaforma web di car pooling, ndr) e mi confrontavo su questi temi con le persone che viaggiavano insieme a me. Nel film ho deciso però di non includere nessuno di questi dialoghi e di quelle interviste registrate perché volevo fare un ragionamento solo attraverso le immagini, non con le opinioni e le parole dei singoli individui”.

Di fatto Normal è un flusso di immagini, nonché di coreografie di corpi “danzanti” nella quotidianità, senza dialoghi, senza interviste e senza voci fuori campo. Ci guidano in questo percorso le associazioni di senso e la musica.

Oltre alle conversazioni in macchina c’è stato però anche un altro importante riferimento: Pier Paolo Pasolini con il suo Comizi d’amore (1965), doc che si prefiggeva di conoscere le opinioni degli italiani sulla sessualità, sull’amore e sul buon costume, vedendo come era cambiata negli ultimi anni la morale in Italia.

“Per me Comizi d’amore è stato un riferimento inevitabile - dice-. E’ in qualche modo una bibbia su questi temi e sono partita sulle sue orme”.

Un progetto che prende vita dalla realtà italiana, ma che è riuscito a coinvolgere il pubblico internazionale su un tema largamente condiviso e controverso.

“Da un lato le dinamiche culturali cambiano di paese in paese e di regione in regione, ma il macrosistema che divide la società rispetto a certi comportamenti e linguaggi del corpo è globale - spiega Adele Tulli-. Certe dinamiche esistono ovunque tanto è vero che il film è stato accolto in Inghilterra, in Germania e in Danimarca e dalle recensioni internazionali con grande riflessione”.

Nel film le bambine giocano ancora con i ferri da stiro e i bambini a pallone e con le macchinette. C’è speranza in un cambiamento di “giochi”? “

“La società è sempre in evoluzione, ma fa un passo avanti e due indietro. Il cambiamento non è mai progressivo e stabile. Più si vivono fasi di repressione, sacche di conservazione e resistenza a certi cambiamenti, più vuol dire che qualcosa sta succedendo altrimenti non ci sarebbe tanta veemenza nel contrastarli. Quando si assiste a tanta resistenza è perché qualcosa sta avvenendo”.