E’ morto oggi a Roma, dopo una lunga malattia, lo sceneggiatore e regista Giorgio Arlorio.

Nato a Torino nel febbraio del 1929, Arlorio è stato uno dei maggiori sceneggiatori italiani, da sempre amante della letteratura. Inizia la sua carriera scrivendo racconti su diverse riviste sperimentali entrando in contatto con personalità del calibro di Cesare Pavese, Elio Vittorini e Giulio Einaudi. Ad accorgersi di lui è Pavese.

Dal 1951 si avvicina al cinema e lavora come montatore e aiuto regista per importanti maestri come Pietro Germi e Mario Soldati. Una volta entrato nel panorama cinematografico, con l'aiuto dell'amico e collega Rodolfo Sonego, si dedica alla sceneggiatura e stringe collaborazioni con Furio Scarpelli, Steno, Gillo Pontecorvo, Mario Monicelli e molti altri.

L'esordio avviene nel 1959 con Esterina di Carlo Lizzani e nel 1960 con Crimen di Mario Camerini, scritto con Luciano Vincenzoni, e Il bell'Antonio di Mauro Bolognini.

Seguono tra gli altri Il padre di famiglia (1967, di Nanni Loy) che gli vale la candidatura al Nastro d'argento del 1968 per il Migliore Soggetto, Queimada (1969), Ogro (1979) - entrambi diretti da Gillo Pontecorvo -, La patata bollente (1979, di Steno) e Cento giorni a Palermo (1984, di Giuseppe Ferrara).

Vive l'età dell'oro del cinema italiano e da grande appassionato della settima arte si dedica anche alla regia. Dirige numerosi documentari di alto spessore sociale come L'addio ad Enrico Berlinguer (1984) e Un altro mondo è possibile (2011).

Compare diverse volte come attore, interpretando I sovversivi (1967, di Paolo e Vittorio Taviani), La bambolona (1969, di Franco Giraldi), Un silenzio particolare (2004, di Stefano Rulli) e Anch'io ero comunista (2011, di Mimmo Calopresti).

È stato tra i fondatori del Premio Solinas, ha insegnato sceneggiatura e tenuto laboratori al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. La camera ardente sarà aperta sabato mattina alla Casa del Cinema di Roma, dove alle ore 11 si terrà un ricordo dell’uomo e dell’artista.