Tokyo Love Hotel

Sayonara kabukichô

GIAPPONE 2014
Una serie di vicende che si svolgono nell'arco di un giorno e di una notte a Kabukicho, il quartiere a luci rosse di Tokyo, sotto lo sguardo stralunato e rassegnato del giovane Toru. È lui che dirige, con pigrissima rassegnazione, lo squallido Atlas, uno dei tanti alberghi dell'amore, ed è sempre lui che, suo malgrado, fa da sponda al via vai, alle tresche, ai naufragi dei personaggi: amanti clandestini, ragazze fuggite di casa, finti talent scout, vere attrici porno, escort malinconiche, fidanzati ignari, donne delle pulizie che non sono chi dicono di essere, clienti che s'innamorano, aspiranti artiste che non disdegnano le scorciatoie.
SCHEDA FILM

Regia: Ryuichi Hiroki

Attori: Shôta Sometani - Toru, Atsuko Maeda - Saya, Lee Eun-woo - Heya, Son Il-kwon - Chong-su, Kaho Minami - Satomi, Yutaka Matsushige - Yasuo, Nao Omori - Kazuki, Jun Murakami - Kageisha, Tomorowo Taguchi - Masashi, Oshinari Shugo - Masaya, Miwako Wagatsuma - Hinako, Aoba Kawai - Rikako, Tomu Miyazaki - Ryuhei, Asuka Hinoi - Miyu

Sceneggiatura: Haruhiko Arai, Futoshi Nakano

Fotografia: Atsuhiro Nabeshima

Musiche: Ayano Tsuji, Shin Yasui

Montaggio: Jun'ichi Kikuchi

Altri titoli:

Kabukichô Love Hotel

Durata: 135

Colore: C

Genere: DRAMMATICO ROMANTICO

Specifiche tecniche: RED EPIC, (2K)/REDCODE RAW (5K), 35 MM/D-CINEMA (1:1.85)

Produzione: GAMBIT AND HAPPINET, THE FOOL AND ARCIMBOLDO, W FIELD

Distribuzione: TUCKER FILM (2016)

Data uscita: 2016-06-30

TRAILER
CRITICA
"Per gli amanti del genere ci sono varie e variate scene di sesso, anche lunghe, con sospiri e mugolii e grida, in cui si vedono solo le facce orgasmiche e i corpi dalla vita in su, in giù solo mutande anche perché le signorine fornite da un'apposita agenzia non se le devono togliere se no le licenziano. E quando lo fanno, è vero amore. (...) fare sesso a pagamento per le belle ragazze povere e molto giovani dipende da storie di bontà e necessità, come in certi film italiani degli anni 50, quando le signorine delle case chiuse dovevano sacrificarsi per un bimbo o un nonno, però alla fine molto spesso morivano. (...) I personaggi sono tutti belli se giovani, se meno giovani sono belle solo le donne e gli uomini bruttini e cattivi. Gli attori, celebri in Giappone, forse da noi sono sconosciuti: in più per certi spettatori, come per me, è difficile riconoscerli, si assomigliano molto: tutti con capelli neri, occhi neri ovviamente a mandorla. Ma così la trama diventa più oscura e quindi più interessante. Certo fa impressione sentirli parlare in italiano (siamo il solo paese che rifiuta i sottotitoli) doppiati da attori del genere pirandelliano, il che toglie veridicità ai personaggi e alla storia." (Natalia Aspesi, 'La Repubblica', 24 giugno 2016)

"L'erotismo e la sessualità giapponese sono stati visti dall'Occidente quasi sempre come un mondo raffinato e sublime anche quando si ribaltavano nel loro opposto mortifero e avvelenato. Evidentemente il mito della geisha fatica a morire. Per questo 'Tokyo Love Hotel' di Ryuichi Hiroki è un'occasione da non perdere, almeno per sgombrare la testa (e la fantasia) dai luoghi comuni che circondano l'eros made in Japan. (...) un'idea del sesso (e delle sue mercificazioni) (...) che cancella una delle conseguenze più diffuse in occidente, e cioè il senso di peccato e di colpa: frequentare gli alberghi dell'amore non è qualcosa di cui vergognarsi. Può innescare tante reazioni, ma non quelle della colpa. (...) Ma è più interessante in questo film qualche cosa che forse nemmeno si è accorto di sottolineare ma che a uno sguardo occidentale balza all'occhio. E cioè che nessuno (e nessuna) si pente di quello che ha fatto, sia che abbia venduto il proprio corpo sia che abbia comprato quello di un altro. Se c'è qualcosa di cui chiedere scusa, quello riguarda il disonore per aver tradito la parola data (ai genitori, ai familiari, ai fidanzati). La vergogna non è mai legata alla pratica sessuale: è molto peggio e diventa un «peccato» aver detto una bugia. Perché in questo Giappone la sessualità avrà molti riti da rispettare ma sicuramente non ha rimorsi." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 29 giugno 2016)

"(...) il regista viene dai gloriosi pinku eiga, i soft core per adulti che dilagarono nel Giappone anni 70, e sa rendere le cose eccitanti anche evitando il nudo integrale, anzi giocando proprio su questo interdetto (...) 'Tokyo Love Hotel' aggiorna l'archetipo di tanti film corali sugli alberghi (...) in chiave di fiaba moderna e venata di melodramma. Un melodramma soft però, come i soft core, che non prevede lutti e tragedie, e nemmeno picchi di eros (dimenticate la vertigine de 'L'impero dei sensi', ma anche le crudezze di 'Tokyo Decadence'). Anzi sospende tutto dentro un universo post-adolescenziale in cui nulla è mai davvero grave o definitivo. L'unica vera tragedia, non a caso, si consuma fuori da quelle mura, e ha per oggetto una prostituta adulta (...): quasi che essere adulti fosse ormai la massima colpa in un mondo deresponsabilizzato, che non esclude i sentimenti ma li incanala dentro confini fissati in partenza. Un po' in ossequio al pudore giapponese, un po' perché i protagonisti, quasi tutti giovani o giovanissimi, vivono nell'era eternamente provvisoria del reboot e del reload. (...) Piacerà a chi ama il lato più 'morbido' e globalizzato della cultura giapponese contemporanea. Il doppiaggio italiano non aiuta." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 30 giugno 2016)

"«Tokyo Love Hotel» (...) evidenzia doti non comuni del regista nipponico Ryuichi Hiroki, titolare di una carriera sui generis perché in parte dedicata al genere softcore ovviamente considerato anche da quelle parti indegno d'attenzioni critiche. Un dato che fa subito simpatia (in Italia l'alternanza non sarebbe mai possibile) e aiuta lo spettatore a compenetrarsi meglio nei toni concentrici con cui il film modella cinque storie su cinque coppie di frequentatori occasionali o fissi dell'esercizio: al posto di un facile sguardo sociologico - dalle nostre parti quasi sempre accompagnato dalle note esorcistiche del moralismo spicciolo - si fa strada, infatti, il senso di una limpida, stupefatta curiosità nei confronti di un bestiario umano (...). Sullo sfondo, grazie al pudore narrativo favorito da ritmo, dialoghi e montaggio non proprio rigogliosi e non sempre pimpanti, si può intravedere il rapporto per noi alquanto sorprendente e ondivago esistente tra la cultura e la società giapponese contemporanea e la vasta gamma dei fenomeni legati alle dinamiche dell'amore e all'urgenza del sesso. (...) Il bello è che non c'è traccia di demonizzazioni o pentimenti, sensi di colpa o epifanie perbeniste, e i vari tasselli del puzzle non si negano né le parentesi umoristiche né le laiche e pragmatiche accettazioni del destino: i confini tra lecito e illecito, in questa direzione concettuale oltre che stilistica, sono continuamente valicati a seconda della situazione del momento proprio perché tutti gli «utilizzatori» di sesso non reclamano complicità o propongono modelli, ma si limitano a mostrare impudicamente - più ancora che i corpi nudi- quella perpetua e patetica ricerca della felicità che non è certo un'esclusiva dell'umanità di Kabukicho." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 30 giugno 2016)

"(...) un fatale crocevia di destini, una sorta di osservatorio su un'umanità dolente, in cerca di riscatto sociale, e non solo. (...) Sullo sfondo di un Giappone impoverito dalla crisi e traumatizzato dallo tsunami, Hiroki intreccia questo amaro carosello di vite sull'arco di 24 ore, durante le quali le verità verranno a galla e tutto cambierà. Girato con camera a mano su un registro crepuscolare, il film resta un po' fragile e ondivago e tuttavia trasmette un malinconico senso della transitorietà delle cose e di una voglia di dignità più forte della avversità e del compromesso." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 30 giugno 2016)

"Le storie si inseguono in una lunga notte nel quartiere a luci rosse della capitale giapponese di Kabukicho, ispirazione di tanto immaginario. Dentro all'albergo si replicano i rituali che il regista, esordi indipendenti e poi molta produzione mainstream, filma muovendo la macchina da presa con inquadrature «storte», spesso sporche, vicine ai corpi dei personaggi, al sesso e alla loro malinconica indifferenza. Mescolando generi, suggestioni pop con un compiacimento a volte un po' stucchevole per il proprio «stile» - che non riflette uguale impatto di deflagrazione - Hiroki Ryuchi segue i suoi personaggi in situazioni ironiche, a volte esilaranti che nascondono ripetuti interrogativi sulle contraddizioni della natura umana. Lì, in quelle stanze che tutti possono scegliere sui monitor colorati, assaporando la dolcezza del cioccolatino della buonanotte, prende forma il sentimento reale della società giapponese, la paura, il peso della crisi economica, delle imposizioni sociali che obbligano alla bugia e ai sotterfugi, di un futuro che appare sempre più incerto. Tutto scivola nell'ambiguità, peccato e redenzione (...) i rapporti si confondono nella lotta disperata dei personaggi per sopravvivere. L'amore nel Tokyo Hotel può diventare molte cose." (Cristina Piccino, 'Il Manifesto', 30 giugno 2016)

"Un film giapponese amaro e crudele: due ore e un quarto ben spese." (Massimo Bertarelli, 'Il Giornale', 30 giugno 2016)

"Piacerà a coloro che andranno oltre le apparenze. Che sono quelle poco raccomandabili di un softcore orientale. Certo, il core abbonda ed è offerto senza remore ma il commedione di vita e malavita è raccontato da un regista di ampi polmoni e da uno sceneggiatore che sa come variegare i personaggi." (Giorgio Carbone, 'Libero', 7 luglio 2016)