The Tribe

Plemya

4.5/5
Arancia meccanica in un istituto ucraino per sordomuti: operazione squisitamente politica e un esordio folgorante

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UCRAINA 2014
L'adolescente Sergey, sordo e muto, viene mandato in una scuola speciale dove, per essere accettato dai compagni, deve sottoporsi ai riti selvaggi messi in atto dalla "tribù", la banda che detta legge all'interno dell'istituto. Sergey viene accettato nel gruppo, ma quando si innamora di Anna, una ragazza che si prostituisce per racimolare i soldi necessari per fuggire dall'Ucraina, si troverà costretto a violare tutte le regole imposte dalla impietosa gerarchia della tribù...
SCHEDA FILM

Regia: Myroslav Slaboshpytskiy

Attori: Grigoriy Fesenko - Sergey, Yana Novikova - Anna, Rosa Babiy, Alexander Dsiadevich, Yaroslav Biletskiy, Ivan Tishko, Alexander Osadchiy, Alexander Sidelnikov, Alexander Panivan, Sasha Rusakov, Denis Gruba, Dania Bykobiy, Lenia Pisanenko, Marina Panivan, Kirill Koshik, Tatiana Radchenko, Ludmila Rudenko

Sceneggiatura: Myroslav Slaboshpytskiy

Fotografia: Valentyn Vasyanovych

Montaggio: Valentyn Vasyanovych

Scenografia: Vlad Odudenko

Costumi: Alena Gres

Altri titoli:

Boplemyareg

La tribu

Durata: 130

Colore: C

Genere: DRAMMATICO

Specifiche tecniche: HD (1:2.39)

Produzione: VALENTYN VASYANOVYCH E IYA MYSLYTSKA PER GARMATA FILM PRODUCTION

Distribuzione: OFFICINE UBU (2015)

Data uscita: 2015-05-28

TRAILER
NOTE
- REALIZZATO CON IL SUPPORTO DI: UKRAINIAN STATE FILM AGENCY (UCRAINA), HUBERT BALS FUND DELL'INTERNATIONAL FILM FESTIVAL ROTTERDAM (OLANDA), RINAT AKHMETOV FOUNDATION «DEVELOPMENT OF UKRAINE» (UCRAINA).

- GRAND PRIX NESPRESSO, PRIX RÉVÉLATION FRANCE 4 E AIDE FONDATION GAN POUR LA DIFFUSION ALLA 53. SEMAINE DE LA CRITIQUE (CANNES, 2014).
CRITICA
"L'aspetto interessante di 'The Tribe' non è tanto che i teppisti in questione sono un gruppetto di sordomuti rappresentati fuori di ogni stereotipo sul disabile; quanto che il linguaggio dei segni tramite il quale comunicano si traduce in puro linguaggio di cinema, trasmettendo senso ed emozioni senza bisogno di parole e didascalie. Tuttavia suoni e rumori si sentono, eccome, e la consapevolezza da parte del pubblico che i protagonisti non sono in grado di percepirli crea un ulteriore, allarmante effetto di estraniazione. Sfida riuscita quella di Slaboshpytskiy: con la sua affascinante concretezza, la coreografia di segni elimina ogni tentazione di leggere in chiave di psicologismo sociale il duro romanzo di formazione di Sergey (...); e i giovani non attori sordomuti coinvolti nell'impresa sono dotati di sorprendente espressività." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 28 maggio 2015)

"(...) lasciate perdere l'oscar 'The Artist', 'The Tribe' (titolo originale: 'Plemya') è l'unico e il solo film muto d'epoca Millennial. Se Hazanavicius ha fatto un calco furbo e irresistibile dell'era pre-talkies hollywoodiana, l'ucraino Myroslav Slaboshpytskiy (...) esordiente alla regia di lungometraggio, fa un muto per necessità e con virtù: i protagonisti, meglio, tutti i personaggi sono sordi, dunque, il film ha solo rumori d'ambiente, mentre tutti i dialoghi sono nella lingua dei segni. Diremmo, se no n fosse politicamente scorretto, roba da matti, e non finisce qui: i 132 minuti del film si fanno intendere agevolmente - e qui non servono nemmeno i cartelli didascalici - come appunto accadeva nei muti classici e sanciscono per l'ennesima volta il primato del visivo sull'audio. Fosse un regista mediocre, il nostro Myro si sarebbe fermato qui, beandosi di una trovata cullata sin dai tempi del corto 'Deafness' ('Sordità', 2010) e strizzando l'occhio a beneficio di chi, in sala, avesse orecchi per intendere: ebbene no, la regia che privilegia campi medi, pochi movimenti di camera , per lo più, a tallonar e il nostro antieroe e il rifiuto dell'illustrazione a tutto tondo si f a notare quale una delle più interessanti , innovative e consapevoli del biennio 2014-2015. Se vi pare esagerato, accettate la sfida e leggete - giusta espressione: le immagini qui non si sentono, si leggono - il romanzo di (de)formazione di Sergey (...): le tappe dell'iniziazione ci sono tutte, dal nonnismo al bullismo, passando per scazzottate, furti e, come potrebbe mancare, il racket della prostituzione femminile. Sergey ci porta all'inferno, sporcandosi l e mani e sporcandoci gli occhi: forse a supplire la 'mancanza' di audio, le immagini si fanno esplicite, impudiche, addirittura oscene (...). E però a non sbatterci addosso la pornografia della sopraffazione è quella distanza media tra la camera e l'oggetto, anzi, il soggetto: vediamo, guardiamo, ma raramente osserviamo, questo anche per ristabilire una certa parità sensoriale tra questi sordi e il pubblico. (...) Non perdetelo." (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 28 maggio 2015)

"Presentato lo scorso anno al Festival di Cannes, nella selezione della Settimana della critica, dove ha suscitato infinite discussioni, polemiche, e nette prese di posizione - c'è chi l'ha amato e chi lo ha odiato visceralmente (...). Il fatto che il lungometraggio fosse ucraino ha contribuito ad attirare il pubblico. Non capita tutti i giorni che un film parli di questo paese, che dall'oggi al domani è diventato il nuovo fulcro geopolitico. Del resto una delle più antiche vocazioni del cinema è proprio quella di raccontare il presente; partecipare ad un grande festival è anche un modo per ricevere notizie di paesi e popoli lontani. 'Tribe' si è dato anche una sua missione particolare, assai sorprendente; e tutti alla prima proiezione in sala aspettavano di capire quale fosse il risultato. Lo stesso vale ora per il pubblico. Il film infatti è interamente parlato con il linguaggio dei non udenti e, volontariamente, non sottotitolato. Per quelli che capiscono questo linguaggio si tratta di una esperienza molto speciale. Per tutti gli altri (me per esempio) la sensazione è stata diversa, ma non meno proficua. (...) La situazione, oggigiorno, è inedita. Ma non spiacevole. L'idea di 'Tribe' è di creare un film doppio, uno per i non udenti e uno per gli udenti. Questi, non comprendendo i segni si affidano ai rumori (molto studiati) e alla mise en scene, estremamente didattica, con delle sequenze prive di qualunque ellissi. In breve, due film: uno che parla al pubblico dei non udenti e non agli altri e viceversa, nel quale entrambe le tribù siano, per una volta, uguali. Ora, questa forma, senza tagli, ha come conseguenza di esaltare il contenuto, di suo già sadico. (...) Il film è stato accolto molto bene. È diventato un piccolo caso. Qualcuno ha fatto notare che la comunità dei sordomuti viene equiparata al teppismo e che questo non è bene. Per parte mia gli troverei altri difetti. Il fatto stesso di chiudersi in un dispositivo me ne pare uno. È del resto una tendenza sempre più generale nel cinema est-europeo. Ahimè." (Eugenio Renzi, 'Il Manifesto', 28 maggio 2015)

"Tutto già visto e rivisto? Eh no. Il film è narrato e recitato con il linguaggio dei segni perché tutti i protagonisti sono sordomuti. Dopo dieci minuti di disorientamento (niente didascalie, traduzioni o parole) verrete trascinati dentro un film geniale, evocativo come una pellicola muta e provocatorio come classici della violenza giovane da 'Il signore delle mosche' a 'If'. Ma c'è di più: i personaggi si muovono incessantemente seguendo le dinamiche di una macabra coreografia come se ci trovassimo di fronte una versione stonata di 'West Side Story'. (...) Ultima nota disturbante: il regista racconta l'ambiente dei sordomuti come un mondo alternativo al nostro, omertoso e platealmente ostile. Non a caso viene costantemente citato il paese della mafia: l'Italia. C'è anche uno humour nerissimo. (...) Un esordio impressionante." (Francesco Alò, 'Il Messaggero', 28 maggio 2015)

"E' davvero cinema verité. Parlano (per modo di dire) solo i ricoverati. Che ripropongono un universo angosciosamente simile a quello dei normodotati (sopraffazioni, atti di bullismo, degrado adolescenziale). Piacerà a chi cerca un cinema del dolore che non bari, che non tarocchi, che non indulga a conclusioni consolatorie. Un tuffo nella sofferenza che mette i brividi (...)." (Giorgio Carbone, 'Libero', 28 maggio 2015)