The Grandmaster

Yi dai zong shi

4/5
C'era una volta il kung-fu: memoria e oblio per un'elegia della arti marziali

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CINA 2013
Due maestri di kung fu: lui, Ip Man, viene dal sud della Cina; lei, Gong Er, dal nord. I loro percorsi si incrociano nel paese natale di Ip Man, Foshan, all'epoca dell'invasione giapponese del 1936. La Cina è in tumulto e il sud del paese vacilla sull'orlo della divisione con il nord. Il padre di Gong Er, un rinomato gran maestro, viaggia anch'esso verso Foshan, avendo scelto il leggendario bordello The Golden Pavilion - dove si radunano i migliori guerrieri di arti marziali del paese - come luogo per la sua cerimonia di pensionamento. Così, mentre il paese è in preda al caos della guerra e dell'occupazione, i protagonisti vivranno storie d'onore, d'amore e tradimenti sullo sfondo di battaglie, duelli di spade e combattimenti corpo a corpo con acrobazie spettacolari.
SCHEDA FILM

Regia: Wong Kar Wai

Attori: Tony Leung Chiu Wai - Ip Man, Zhang Ziyi - Gong Er, Chang Chen - Il "Rasoio", Wang Qingxiang - Maestro Gong Baosen, Shang Tielong - Jiang, Zhao Benshan - Ding Lianshan, Zhang Jin - Ma San, Xiao Shenyang - San Jiang Shui, Song Hye-kyo - Zhang Yongcheng, Lo Hoi Pang - Zio Deng, Yuen Woo-ping, Julian Cheung, Lau Ka Yung, Cung Le, Leung Siu Lung

Soggetto: Wong Kar Wai

Sceneggiatura: Zou Jingzhi, Xu Haofeng, Wong Kar Wai

Fotografia: Philippe Le Sourd

Musiche: Shigeru Umebayashi, Nathaniel Méchaly

Montaggio: William Chang, Benjamin Courtines, Poon Hung

Scenografia: William Chang, Alfred Yau Wai Ming

Costumi: William Chang

Effetti: BUF

Altri titoli:

The Grandmasters

Durata: 123

Colore: C

Genere: BIOGRAFICO DRAMMATICO AZIONE

Specifiche tecniche: ARRICAM LT/ARRICAM ST/ARRIFLEX 435 XTREME, 2K/SUPER 35, 35 MM/D-CINEMA (1:2.35)

Produzione: WONG KAR WAI, JACKY PANG YEE WAH PER JET TONE PRODUCTION, SIL-METROPOLE ORGANISATION, BLOCK 2 PICTURES

Distribuzione: BIM (2013) - DVD: BIM/01 DISTRIBUTION HOME VIDEO (2014)

Data uscita: 2013-09-19

TRAILER
NOTE
- COREOGRAFIE D'AZIONE: YEN WO PING.

- FILM D'APERTURA, FUORI CONCORSO, AL 63. FESTIVAL DI BERLINO (2013).

- CANDIDATO ALL'OSCAR 2014 PER: MIGLIOR FOTOGRAFIA E MIGLIORI COSTUMI.
CRITICA
"C'era una volta in Cina, come dimostra in un tempo emotivo debito l'innesto del tema di Morricone & Leone alla fine. Dalla Cina con struggente furore. In the mood for love, anche edipico. Un kung fu romantico: ci si può sbizzarrire con i giochi di parole nel raccontare - ma bisogna andare per impressionismo - il fascino visivo e la coazione a ripetere di 'The Grandmaster' (...). Si apre la gara per la successione: mani taglienti e dure che s'intrecciano, si posizionano, volteggiano, colpiscono sotto pioggia battente, luci irreali notturne di neon e di sigarette accese, corpi che perdono la forza di gravità in quella coreografia di violenza gentile tipica cinese, Busby Berkeley col coltello tra i denti. L'autore ci racconta il senso del Tempo e il suo tentativo di bloccarlo in un estremo sforzo ginnico che sia anche filosofia, educazione al controllo. La sua 'recherche' di storia patria, dall'invasione giapponese della Cina nel '36, agli anni 60, segue l'evoluzione artistica-sentimentale del kung fu, il cui segreto sta in due parole: orizzontale e verticale, stai su o giù. All'interno di questo violento ma vellutato orizzonte di mosse mortali c'è il rimpianto per il Passato in un film «oppiaceo» (proprio come 'C'era una volta in America') che è sempre «In the mood for love», per citare il best seller di Kar-wai. Dove però Leone colpiva al cuore qui il regista sfoggia manierismi sulla fine di un'epoca. L'opera, a tratti affascinante, diventa un gioco meccanico dietro un acquario, di perfezione certosina, come le navi costruite in bottiglia, danzando sulla storia come in un musical in cui il ritmo è dato dal kung fu invece che dal tip tap." (Maurizio Porro, 'Il Corriere della Sera', 19 settembre 2013)

"Sei anni di ricerche e di addestramento per gli attori. Tre anni di lavorazione. E una storia che abbraccia tutte le trasformazioni della Cina nella prima metà del '900 raccontata con lo stile inarrivabile di Wong Kar-wai, il regista di 'In the Mood for Love', e con i colpi micidiali del kung fu. 'The Grandmaster' non è certo il classico film di arti marziali, così come Wong Kar-wai non è un regista d'azione ma un esteta che travasa nei vertiginosi combattimenti del film la sua idea del cinema come arte 'totale', danza, filosofia, arte cinetica capace di fondere etica e estetica in un unico slancio. Con la complicità decisiva di Yuen Wo Ping, il grande coreografo che ha già lasciato la sua impronta in 'Matrix', 'Kill Bill' e 'La tigre e il dragone'. Nessuno infatti accosterebbe i languori di uno dei più grandi stilisti del cinema d'oggi alla frenesia di Bruce Lee. Eppure il Grandmaster del titolo è il leggendario Ip Man, che in età matura sarebbe stato il maestro del divo di 'Cinque dita di violenza'. (...) Inutile però cercare completezza in questo racconto epico, tanto grandioso quanto allusivo e frammentario. Tutto infatti è visto non con gli occhi ma in qualche modo con il corpo di Ip Man. Che sopravvive, povero e abbandonato ma ancora capace di tramandare i suoi segreti nella Hong Kong colonizzata dagli inglesi, solo perché resta fedele alla propria inflessibile disciplina interiore. La Cina gli deve molto. Nessuno poteva ricordarcelo meglio di Wong Kar-wai." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 19 settembre 2013)

"Wong Kar-wai ha impiegato quattro anni a realizzare il suo film di kung fu: e, alla fine, si tratta di un film d'amore appena mascherato, più somigliante a 'In the Mood for love' che a una classica pellicola di arti marziali. Si consideri il combattimento tra lp e Gong Er, che pare una scena d'amplesso sublimata, l'unica possibile tra i due innamorati. Malgrado la vicenda sia ispirata a lp, maestro del giovanissimo Bruce Lee, nonché già eroe di altri film, il personaggio centrale è la fanciulla, interpretata dalla star cinese Zhang Ziyi. Splendidi, benché ridotti di numero rispetto ai canoni del cinema di arti marziali, i duelli coreografati da Yuen 'Kill Bill' Wo Ping." (Roberto Nepoti, 'La Repubblica', 19 settembre 2013)

"Tra il cinema delle arti marziali e il Wong Kar-wai dello struggente 'In the Mood for Love' non sembrerebbe possibile alcun contatto espressivo o spettacolare. 'The Grandmaster', al contrario, che segna il ritorno del regista alle mitografie orientali dopo il controverso excursus in lingua inglese di 'Un bacio romantico', è un film positivamente eclettico, in grado cioè di innervare un formalismo codificato (e supersfruttato) con sottili inquietudini e crepuscolari ossessioni che confermano la versatilità di un autore capace di compiere lunghi e faticosi approfondimenti per dominare il nuovo argomento. Accanto ai geometrici combattimenti, alle coreografie armate e allo sfoggio delle abilità fisiche di prammatica, infatti, il film esplora con qualche lungaggine ma senza pedanterie i risvolti filosofici, se non metafisici della complessa cultura incarnata dal kung fu e, in particolare, della tecnica Wing Chun. La stessa che il protagonista Ip Man, nel corso di penose traversie in un vero e proprio compendio di storia cinese corroborato da materiali d'archivio, trasmetterà un giorno al celeberrimo discepolo Bruce Lee. Piacevolmente tradizionale e insieme vagamente ostico, il tono affabulatore permette ai consueti valori di onore, fedeltà e coesione familiare di non esibirsi in forma di didascalia bensì d'integrarsi nelle anse di una storia d'amore alla fine inespressa e quindi consona al romanticismo noir di Kar-wai." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 19 settembre 2013)

"'The Grandmaster' non va preso come un biopic classico su Ip Man, reputato maestro di Wing-chun (1897-1972), oggi noto per aver avuto fra gli allievi Bruce Lee. Partendo nel 1936, il film salta da un episodio all'altro di vita in modo ellittico e analogico, senza preoccuparsi dei buchi che lascia. Sullo sfondo passa la Storia, ovvero l'occupazione giapponese che si riflette pesantemente sull'esistenza di Ip (Tony Leung), costretto a fuggire dopo anni di umiliazioni a Hong-Kong separandosi per sempre dalla moglie. In altre mani sarebbe stata materia di melò, odi film d'azione per via delle tante (e meravigliose) scene di combattimento. Con Wong Kar Wai a predominare è il senso della fatalità, della fine inesorabile delle cose, cui Ip oppone la stoica filosofia del kung fu: se cadi perdi, se stai su vinci. Di certo alcune ellissi sono motivate dalla lunghissima gestazione del film e dai numerosi tagli non sempre controbilanciati. Ma la visionaria poesia delle immagini permeata della nostalgia del passato perduto è quanto basta a renderlo imperdibile." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 19 settembre 2013)

"Wong Kar-wai è stato un grande maestro del cinema, e forse lo e ancora anche se 'The Grandmaster', il suo ultimo film, non verifica questa grandezza, anzi ne segna tutti i limiti. Nella carriera di un regista, tanto più se prolifico, è certo possibile trovare qualche caduta, qualche punto basso. Non è certo una tragedia. 'The Grandmaster' è la trappola nella quale Wong Kar-wai è caduto, scavandosi da solo la fossa. Una lunghissima preparazione, otto anni per raccontare la vicenda di Ip Man, colui che diventerà il maestro di Bruce Lee, sullo sfondo della guerra cino-giapponese. (...) è facilissimo perdersi nei buchi profondi procurati dalle tante ellissi temporali disseminate da Wong Kar-wai, seguace indefesso del melodramma storico di cui 'In the Mood for Love' è ormai pallido e lontano quanto perfetto esempio (gli strilli delle locandine «dal regista di...» sono lì a ricordarlo, tristemente). Non che la struttura ellittica non sia quella giusta per raccontare un melodramma, anzi è la sua linfa, solo che in 'The Grandmaster' la narrazione a buchi risulta particolarmente appesantita dalla destrutturazione dei singoli frammenti ed episodi. Ed è qui che a nostro avviso il film diventa inaccessibile. È come se Wong Kar-wai avesse preso ogni singola inquadratura e l'avesse espansa producendo una dilatazione spasmodica dei sensi. La coreografia, la scenografia, i costumi, la musica, la fotografia (i normali strumenti della messa in scena) si trasformano in armi chimiche per la distruzione della stessa scena che viene così molestata da un montaggio frammentario e frammentato. L'eccesso di intenzioni inficia le scelte di regia e più che un film a volte sembra un spot pubblicitario espanso ed insostenibile. Ci piange il cuore nello scrivere in questi termini di un autore che abbiamo molto amato, ma è di delusione che si parla, non di tradimento." (Dario Zonta, 'L'Unità', 19 settembre 2013)

"Ancora duelli nell'epico 'The Grandmaster' di Wong Kar-wai, interessante affresco storico sul quale si staglia la storia vera di Ip Man, divenuto grande maestro di arti marziali nella Cina degli anni Trenta e successivamente il leggendario mentore di Bruce Lee. L'idea è quella di mostrare la filosofia di vita che si cela dietro i combattimenti, il rigore morale oltre all'abilità fisica e tattica." (Alessandra De Luca, 'Avvenire', 19 settembre 2013)

"Dodici anni. Tanti sono gli anni che ha impiegato Wong Kar-wai per portare a termine, anche se solo parzialmente, la sua grande saga dedicata alla costellazione delle arti marziali. Un progetto nato dopo una serie di detour formali e artistici che hanno portato il nome del regista all'attenzione anche del grande pubblico di non-specialisti di cose asiatiche. Con risultati non sempre degni di nota. Basti pensare a 'Un bacio romantico', mero contenitore dei formalismi del regista che, privati del loro ambiente naturale, risultano ridondanti e tristemente decorativi. D'altronde Wong aveva già raggiunto un punto nevralgico della propria poetica con '2046', visionaria versione remix di 'In the Mood for Love', nonché opera straordinariamente interessante, ma inquietamente ripiegata su stessa. 'The Grandmaster', nel corso degli anni il titolo ha perso il suffisso del plurale, si annunciava come un ritorno alle atmosfere wuxia di 'Ashes of Time', a tutt'oggi il film più celebrato di Wong la cui lavorazione travagliata ha assunto ormai toni leggendari. Sempre più riluttante ad abbandonare i progetti cui lavora, Wong Kar-wai ha lasciato andare il film lasciandosi aperte varie possibilità di intervenire ulteriormente sul montaggio e la struttura narrativa. Motivo per cui la versione cinese differisce da quella europea mentre quella statunitense, manipolata su indicazioni di Harvey Weinstein, è ancora più stringata. Senza contare che Wong ambisce tuttora ottenere un director's cut di tre ore. Inevitabile che in una situazione di questo tipo, la poetica del frammento del regista si alimenti d'una necessità che è a dir poco contingente. I fautori della filologia comparata dovranno quindi necessariamente attendere l'auspicata versione di Wong del film prima di procedere ad esaminare le varie differenze fra i diversi montaggi di 'The Grandmaster'. (...) Elemento chiave di 'The Grandmaster' è Xu Hao-feng, autore di romanzi di gong-fu pian che insieme a Wong Kar-wai ha scritto la sceneggiatura del film (nonché regista di 'Judge Archer' presentato lo scorso anno al Festival del film di Roma). Ultimo discendente della scuola rivale di lp Man, rappresentata nel film dal personaggio interpretato Zhang Ziyi (ossia la bisnonna di Xu Haofeng), Xu ha contribuito in maniera determinante a dare corpo allo sfondo storico e politico del film. Ed è grazie a Xu che Wong ha potuto incarnare nel tessuto del suo film i temi a lui cari del tramonto di un mondo e della solitudine di individui giunti al crepuscolo della storia. Rispetto a 'Ashes of Time', ipnotico caleidoscopio di esistenze alla deriva, 'The Grandmaster' è come se celebrasse (e abbracciasse) i valori di un mondo (cinese) che non esiste più. Tutto nel film sembra essere toccato da una magniloquenza malinconica che l'uso insistito del ralenti esaspera drammaticamente. Ogni gesto sembra come spostare le linee del mondo; ogni scontro un terremoto che rischia di spegnere il mondo. Coreografato dal maestro Yuen Woo-ping, un genio visionario del corpo in movimento, il film di Wong Kar-wai sembra come scolpito in una nicchia di tempo sospesa a sua volta in un tempo immobile nonostante il racconto tematizzi l'ineluttabilità stessa della storia. Con il suo inconfondibile gusto sincretico e sinestetico, Wong Kar-wai riesce ancora una volta a distillare stille di passione autentica da un formalismo tanto sublime quanto autoreferenziale. Esemplare in questo senso il primo combattimento sotto la pioggia. Una danza di silhouette che sembra rovesciare il senso degli aforismi leoniani: quando i cento uomini senza cappello incontrano l'uomo con il cappello, i cento senza sono nei guai. Momento topico, posto in apertura, che rievoca le impari stragi eroiche sopportate dai valorosi di Chang Che, ribaltandone il senso, perché il sangue è già stato tutto versato e non resta che cantare ciò che fu." (Giona A. Nazzaro, 'Il Manifesto', 19 settembre 2013)

"'La Cina non morirà mai'. Sempre che non rinunci all''Essere. Sapere. Agire'. Ovvero le regole profonde delle arti marziali, che nelle latitudini estremorientali equivalgono a vivere in pienezza. Così è nato, cresciuto e ora esce anche in Italia 'The Grandmaster' di Wong Kar-wai, autore cult e tra le principali voci della seconda generazione della cosiddetta 'New Wave' del cinema di Hong Kong, emersa sul finire degli anni Ottanta. Epico e minimalista, il film snocciola in oltre due ore quel che della Cina (e di Hong Kong per certi versi) c'è da sapere/imparare attraverso la metafora di due parole-concetto antiche quanto il mondo ma d'attualissima urgenza. «Kung fu: orizzontale e verticale. Fai un errore: orizzontale. Sii l'ultimo a restare in piedi e vincerai». L'arte della guerra? No, primordiale arte della sopravvivenza enunciata dal protagonista, il Grandmaster Ip Man, altrimenti noto come il leggendario maestro di wing chun di Bruce Lee. (...) Un mito su cui il cineasta di 'In the Mood for Love' ha seminato molto del proprio immaginario. Doveva farci un film, ne è uscita l'apologia al suo Maestro, raccontata tra gli anni '30 e '50. Una fatica viscerale, un desiderata sottoposto a montaggi, smontaggi e rimontaggi estenuanti, fino alla scadenza festivaliera dell'ultima Berlinale, che ha aperto fuori concorso lo scorso febbraio. Per questo, ma non solo, 'The Grandmaster' è un supremo concentrato di materiale, potente e imperfetto. (...) Nel film si assiste a tutto questo filtrato dallo sguardo di Wong Kar-wai, fedele ai primissimi piani dei protagonisti (qui tornano due leggende del cinema contemporaneo cinese: l'immancabile attore feticcio Tony Leung e la magnifica Zhang Ziyi) che torna a muovere con lo step-framing (il congelamento di un personaggio sopra uno sfondo che invece sembra muoversi a doppia velocità), tecnica diventata 'cifra' dell'autore hongkonghese specie grazie all'uso fattone nello straordinario 'Hong Kong Express' (1994). Ma in 'The Grandmaster', purtroppo, a incidere è un certo didascalismo tradotto in ridondanza, probabile sintomo di un'irrisolutezza progettuale 'ab origine' da parte del cineasta. Il contrappunto spazio-temporale, il kung fu rappresentato come danza, la malinconia insita nei personaggi consapevoli vittime e carnefici di una Storia inesorabile permettono comunque il dialogo tra l'epico e il minimal, tra l'Ordine e il Caos di un Paese al limite, perché basta un errore e sei 'orizzontale'." (Anna Maria Pasetti, 'Il Fatto Quotidiano', 19 settembre 2013)

"Piacerà anche a chi non ha una spiccata predilezione per i film d'arti marziali. 'The Grandmaster' è stato messo su con l'idea di fare l'opera definitiva del genere. Agli ordini di Kar-wai un cast di tutte stelle (in Cina equivale a un ipotetico film di Sergio Leone con Clint Eastwood Charles Bronson e Henry Fonda)." (Giorgio Carbone, 'Libero', 19 aprile 2013)

"Dopo anni di lavorazione, ecco l'omaggio di Wong Kar-wai al maestro di kung fu Ip Man, l'uomo che ha avuto tra i suoi allievi anche Bruce Lee. Il film, che abbraccia quattro decenni, ha grande impatto visivo e emotivo, ma risulta troppo pretenzioso. A volte confusa, a volte sublime, la pellicola racchiude il meglio (meno) e il peggio (più) del regista cinese. Trama difficile da seguire con personaggi spesso abbandonati a se stessi. Dura due ore, spesso interminabili." (Maurizio Acerbi, 'Il Giornale', 19 settembre 2013)