The Act of Killing - L'atto di uccidere

The Act of Killing

DANIMARCA 2012
Negli anni successivi al colpo di stato militare in Indonesia, nel 1965, i paramilitari della Gioventù Pancasila che appoggiavano il regime, aiutati da sadici criminali uccisero più di un milione di presunti comunisti. Questi omicidi sono rimasti impuniti e i responsabili - come Slim Anwar Congo e Herman Koto - sono ancora oggi persone influenti, che possono contare sul sostegno di politici corrotti. Questi uomini ricordano con orgoglio la loro lotta contro i comunisti e raccontano nei minimi dettagli il modo in cui uccidevano i nemici, spesso ricreando veri e propri set cinematografici...
SCHEDA FILM

Regia: Joshua Oppenheimer (II)

Fotografia: Carlos Arango de Montis, Lars Skree

Musiche: Elin Øyen Vister, Karsten Fundal - tema

Montaggio: Niels Pagh Andersen, Janus Billeskov Jansen, Mariko Montpetit, Charlotte Munch Bengtsen, Ariadna Fatjo-Vilas Mestre

Costumi: Anonymous

Suono: Elin Øyen Vister

Collaborazione alla regia: Christine Cynn, Anonymous

Durata: 120

Colore: C

Genere: DOCUMENTARIO

Specifiche tecniche: DCP

Produzione: SIGNE BYRGE SORENSEN, JORAM TEN BRINK, ANNE KÖHNCKE, MICHAEL UWEMEDIMO, JOSHUA OPPENHEIMER, CHRISTINE CYNN, ANONYMOUS PER FINAL CUT FOR REAL APS IN COPRODUZIONE CON PIRAYA FILMS AS, NOVAYA ZEMLYA LTD, IN ASSOCIAZIONE CON SPRING FILMS

Distribuzione: I WONDER PICTURES

Data uscita: 2013-10-17

TRAILER
NOTE
- REALIZZATO CON IL SUPPORTO DI: ZDF ARTE, VPRO, SVT, YLE, DANISH FILM INSTITUTE, DR, DANIDA, NORWEGIAN FILM INSTITUTE, NRK, FRITT ORD, STAVANGER KOMMUNE, AHRC UK, WESTMINSTER UNIVERSITY, MEDIA DEVELOPMENT, MEDIA BROADCAST, KUDOS FAMILY, STIFTELSEN MATRIARK, NORDIC FILM AND TV FUND AND AGAINST GRAVITY.

- PRODUTTORI ESECUTIVI: WERNER HERZOG, ERROL MORRIS, ANDRÉ SINGER, TORSTEIN GRUDE, BJARTE MØRNER TVEIT, JORAM TEN BRINK.

- PREMIO DELLA GIURIA ECUMENICA AL 63. FESTIVAL DI BERLINO (2013), SEZIONE 'PANORAMA DOKUMENTE'.

- CANDIDATO ALL'OSCAR 2014 COME MIGLIOR DOCUMENTARIO.
CRITICA
"La tragedia vissuta dall'Indonesia in seguito al colpo di stato militare del 1965 è nota, così come sono conosciuti i colpevoli, i complici e le vittime. L'estrema destra e la fazione musulmana del paese, col benestare dell'Occidente, hanno perpetrato un genocidio ai danni dei membri e dei simpatizzanti del partito comunista indonesiano, filocinese - il terzo del mondo per grandezza, contava prima del massacro 300 000 aderenti. La strategia impiegata per sbarazzarsi di questo potente partito ricalca per molti versi quella che i nazisti hanno sperimentato con successo in Germania, in seguito all'incendio del Reichstag. Con la differenza che in Indonesia, paese che dal 1965 ha ottimi rapporti commerciali e politici con l'Occidente, i partiti che hanno concepito il genocidio sono tutt'ora al governo e che i capi delle bande di paramilitari che lo hanno compiuto presiedono riunioni pubbliche in cui lo sterminio non viene negato, ma esaltato e trasformato nel culto nazionale di una società libera perché fondata sullo sterminio dei comunisti. Joshua Oppenheimer penetra questo mondo assurdo da una porta che il cinema europeo conosce bene: come si filmano i boia? Per lungo tempo, la risposta è stata quella che la fiction si è data ispirandosi, tra l'altro, alla storia dell'arte, definendo il canone morale entro cui si rappresenta il rapporto tra boia e vittima: il primo di spalle, il secondo di fronte. Da alcuni anni, il cinema, soprattutto l'asiatico, sposta questi limiti, partendo da un quadro documentario, che il racconto fa evolvere dall'interno nei modi più diversi, non esitando in questo processo a dare un volto al boia. Il caso più notevole, è quello del cambogiano Rithy Panh e del suo 'S21' (2002). Ma, mentre Panh si trovava a spezzare il silenzio sul genocidio Khmer, Oppenheimer ha davanti a sé la situazione opposta, quella in cui gli autori del genocidio evocano i propri atti di gioventù con la bonomia spavalda, a tratti veramente surreale, di vitelloni da bar. In altre parole, il problema del film è simile a quello che dava da pensare al Frazer il quale, all'inizio del suo studio sulla magia e la religione, si chiedeva come Fosse possibile che le civili magistrature della Roma tardo repubblicana convivessero con la truce figura del Rex nemorensis, al tempo stesso sacerdote e omicida. 'The Act of Killing' parte da questo punto e, invece di schivarlo, lo enfatizza trovando in questo bisogno patologico, presente in tutti i protagonisti del film, di interpretare (l''acting' del titolo) il crimine, di ripeterlo senza fine, in tutti i modi possibili, un metodo d'analisi prezioso. del passato e del tempo presente." (Eugenio Renzi, 'Il Manifesto', 17 ottobre 2013)