Sea Sorrow - Il dolore del mare

Sea Sorrow

2.5/5
Vanessa Redgrave scende in campo. E filma in doc la disperazione dei migranti

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GRAN BRETAGNA 2017
Debutto alla regia di Vanessa Redgrave, vuole rappresentare una eleborazione molto personale sull'odierna situazione di crisi che vivono i rifugiati. Gli occhi sono quelli degli attivisti e dei rifugiati che raccontano il loro passato e il loro presente in un documentario toccante che ci porta a riflettere sull'importanza dei diritti umani.
SCHEDA FILM

Regia: Vanessa Redgrave

Attori: Vanessa Redgrave - se stessa, Alfred Dubs - se stesso, Ralph Fiennes - Prospero, Emma Thompson - Sylvia Pankhurst, Martin Sherman - se stesso, Simon Coates - se stesso, Daisy Bevan - se stessa, Juliet Stevenson - se stessa, Don Benedetto Serafini - se stesso

Fotografia: Andrew Dearden

Montaggio: Folasade Oyeleye

Suono: Sophia Hardman, Max Walsh, Martin Clarke - presa diretta, Ariel Sultan - presa diretta

Altri titoli:

Douleur de la mer

Durata: 74

Colore: C

Genere: DOCUMENTARIO

Produzione: CARLO NERO PER DISSENT PROJECTS

Distribuzione: OFFICINE UBU (2018)

Data uscita: 2018-06-20

TRAILER
NOTE
- REALIZZATO CON IL PATROCINIO DALL'ALTO COMMISSARIATO DELLE NAZIONI UNITE PER I RIFUGIATI (UNHCR), SUPPORTATO DA CARLOTTA SAMI, DIRETTORE DELLE COMUNICAZIONI CON INCARICO DI PORTAVOCE PER IL SUD EUROPA DELL'ALTO COMMISSARIATO DELLE NAZIONI UNITE PER I RIFUGIATI (UNHCR).

- PROIEZIONE SPECIALE AL 70. FESTIVAL DI CANNES (2017).

- PRESENTATO ALLA XII EDIZIONE DELLA FESTA DEL CINEMA DI ROMA (2017).
CRITICA
"(...) emozionante l'esordio alla regia di Vanessa Redgrave che con 'Sea Sorrow' (citazione dalla 'Tempesta' di Shakespeare) ricorda all'Europa i propri doveri di fronte ai migranti in fuga. Lo fa mettendosi in gioco in prima persona ma soprattutto ricordando i tanti momenti in cui gli europei hanno subito la stessa sorte (...). È un appello commovente e accorato, mai gridato, in nome di una carità laica ed europeista, che in molti dovrebbero vedere. Specie chi oggi vorrebbe dimenticare il proprio passato di sofferenze e di dolori. E di migrazioni." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 18 maggio 2017)

"Il dramma dei piccoli rifugiati osservato alla luce delle parole di Shakespeare e della storia dell'Europa durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale. Questo è l'approccio scelto da Vanessa Redgrave, al suo debutto dietro la macchina da presa, nel suo documentario 'Sea Sorrow' (...). L'ottantenne attrice inglese, attivista politica da sempre impegnata nelle battaglie per i diritti civili (con l'associazione Safe Passage lavora per creare corridoi umanitari e per ricongiungere profughi minorenni con i familiari che vivono in Inghilterra), viaggia tra l'Italia, la Grecia e Calais per denunciare la disumanità dei campi profughi e la mancanza della volontà dei governanti di affrontare le emergenze in tempi rapidi. Prodotto dal figlio della neo regista, Carlo Nero, il film che nel titolo parla di mare e dolore citando 'La tempesta', non si limita però a una galleria di strazianti immagini che rivelano la miseria dei migranti, ma dà voce a politici e attivisti che hanno scelto di lottare per salvare i tanti bambini che, arrivati da soli in Europa, restano senza alcuna tutela. E racconta soprattutto di quando i rifugiati eravamo noi europei, sfollati dai paesi in guerra, laceri e affamati, col terrore delle persecuzioni naziste e comuniste negli occhi." (Alessandra De Luca, 'Avvenire', 18 maggio 2017)

"L'impegno politico di Vanessa Redgrave, classe 1937, non è una novità. Da una cinquantina d'anni l'attrice, già militante trotskista, si è dedicata a numerose cause, spesso suscitando polemiche: le proteste contro il Vietnam, il sostegno all'Olp, l'aiuto al separatista ceceno Zakajev, il lavoro con l'Unicef... Questo documentario, 'Sea Sorrow', suo esordio alla regia, è la prosecuzione per immagini dell'impegno a favore dei rifugiati politici, da lei svolto negli ultimi anni: la vediamo visitare la cosiddetta 'giungla' di Calais, e battersi a fianco del deputato laburista Alfred Dubs per una politica di accoglienza. Il film è composto in maniera tradizionale, con interviste a rifugiati e testimonianze di volontari (il primo a parlare, in italiano, è un afgano che vive a Roma e racconta con semplicità la sua terribile esperienza). Un film militante, diretto, che forse non aggiunge molto a quanto si può vedere sui media europei. La parte più interessante è quella storica: nel 1938, a 6 anni, lo stesso Lord Dubs, di padre ebreo, era giunto in Inghilterra dalla Cecoslovacchia, grazie al cosiddetto Kindertransport. Il parallelo tra quell'epoca e il presente è la cosa più efficace del film, che ci ricorda anche un altro episodio poco conosciuto: i 200mila bambini profughi dall'Ungheria dopo la rivoluzione del 1956." (Emiliano Morreale, 'La Repubblica', 18 maggio 2017)

"Sea Sorrow' è il film d'esordio da regista dell'attrice inglese, protagonista del Free cinema, icona di James Ivory e premio Oscar nel 1978, una sfida lanciata all'Europa intera e al governo del suo Paese che sceglie di sbarrare i confini ai profughi e gli immigrati (...). Accanto all'attrice c'è Lord Alfred Dubs, entrambi sono stati profughi da piccoli, forse è questo che li ha resi emozionalmente sensibili, due bimbi della guerra costretti a lasciare la casa e la famiglia. (...) Eppure, mentre lo si guarda, a parte dei paragoni un po' stonati tipo quello tra il rifiuto di accogliere gli ebrei in fuga dall'Olocausto e i profughi oggi - viene da chiedersi perché è qui se non in virtù della fama di Redgrave, che per carità, è preziosa testimonial se serve a sensibilizzare su quanto accade accanto a noi in una platea come quella di Cannes. Però deve essere per forza un brutto film a farlo, seppure sicuramente sincero e motivato come è qualcuno che ha combattuto per i diritti sociali e politici tutta la vita, e che dunque ha le intenzioni migliori? Ma qui vengono assecondati tutti i luoghi comuni, tutto quanto serve a commuovere e a fare sentire più buono chi guarda per poi tornare a casa sollevato. Non c'è cinema, il che è serio lo stesso, perché è un dovere nel racconto del presente cercare il conflitto fuori dall'abitudine di un servizio televisivo, e l'impressione è che al festival serva - malgrado ripeto la sicura sincerità - più come promozione di immagine con la retorica che ne consegue (ma fa meglio la Berlinale che da almeno due anni da grande spazio ai film sui migranti che hanno anche una forma-cinema)." (Cristina Piccino, 'Il Manifesto', 18 maggio 2017)