Peter von Kant

3/5
François Ozon non è Rainer Werner Fassbinder: la sua rilettura non lacrima grande cinema. In apertura alla 72esima Berlinale

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FRANCIA 2021
Peter von Kant è un regista di successo che vive da solo col suo assistente Karl, sul quale esercita un dominio assoluto. La famosa attrice Sidonie, sua amica e musa ispiratrice, gli fa conoscere il bellissimo Amir, un giovane di umili origini e senza prospettive. Peter se ne innamora e proponendogli di trasferirsi da lui con la promessa di un futuro di successo nel cinema. Inizia così una relazione che diventa ben presto fonte d'immensa sofferenza per Peter, i cui sentimenti vengono maltrattati dal giovane, nel frattempo rivelatosi un approfittatore cinico e superficiale.
SCHEDA FILM

Regia: François Ozon

Attori: Denis Ménochet - Peter, Isabelle Adjani - Sidonie, Khalil Ben Gharbia - Amir, Hanna Schygulla - Rosemarie, Stefan Crepon - Karl, Aminthe Audiard - Gabrielle

Sceneggiatura: François Ozon

Fotografia: Manuel Dacosse

Musiche: Clément Ducol

Montaggio: Laure Gardette

Scenografia: Katia Wyszkop

Costumi: Pascaline Chavanne

Suono: Julien Roig

Durata: 85

Colore: C

Genere: DRAMMATICO

Tratto da: libero adattamento del film "La lacrime amare di Petra von Kant" di Rainer Werner Fassbinder (1972)

Produzione: FRANÇOIS OZON PER FOZ SAS

Distribuzione: ACADEMY TWO

NOTE
- IN CONCORSO AL 72. FESTIVAL DI BERLINO (2022).
CRITICA
"È dunque una storia d' amore omosessuale quella raccontata da Ozon in un melodramma sui rapporti di potere, dove la passione apre le porte a un vero e proprio gioco al massacro. Il regista, che in passato aveva adattato un' altra opera di Fassbinder in 'Gocce d' acqua su pietre roventi', sposta la scena dal mondo della moda (dove una stilista si innamorava della sua modella) a quello del cinema, a lui più vicino e congeniale, e chiama Hanna Schygulla, che nel film originale interpretava il distruttivo oggetto del desiderio, a vestire i panni questa volta della madre del protagonista. (...) E se si ride e nel contempo ci si commuove con Denise Ménochet che appare arrogante e sicuro di sé, poi intenerito dall' amore e dopo ancora inferocito dalla disperazione, gli aspetti più comici del film sono affidati a Stéfan Crépon, che nei panni del povero "servo" devoto e calpestato suscita momenti di vera e propria ilarità con la sua recitazione basata esclusivamente su movimenti del corpo minimali e sguardi più che eloquenti. Mentre la Adjan, che il regista paragona a un violino Stradivari, riappare sul grande schermo ancora bellissima, e guarda a star anni Settanta come Marlene Dietrich ed Elizabeth Taylor."(Alessandra De Luca, 'Avvenire', 11 febbraio 2022)

"(...) stessa ambientazione anni Settanta in un unico grande interno (all' origine c' è una pièce poi diventata film), medesima inquietante presenza di un segretario-servitore (per Ozon è Stefan Crepon) e stesso percorso che trasforma il legame tra due persone in un crudele braccio di ferro, al cui atto finale assisteranno un' amica (Isabelle Adjani), la madre (Hanna Schygulla, che nel film del '72 era la giovane ambiziosa) e la figlia (Aminthe Audiard). Ma soprattutto c' è la medesima riflessione sul gioco di potere che si impadronisce delle persone attraverso i sentimenti e che finisce inevitabilmente per concludersi con un vincitore e una vittima. Era un tema che il francese Ozon aveva già affrontato nella sua precedente riduzione da un altro dramma teatrale di Fassbinder, 'Gocce d' acqua su pietre roventi' , ma che qui prende la forza di un vero teorema, inesorabile e glaciale, sulle sofferenze dell' amore (non sono un caso le immagini di San Sebastiano che disseminano la casa) e che solo alla fine sembra stemperarsi in un po' di commozione per chi ne esce sconfitto." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 11 febbraio 2022)

" (...) Peter Von Kant, che dell' originale fassbinderiano muta il genere trasformando appunto Petra in Peter, un regista di successo nella Germania degli anni Settanta, angustiato dai fantasmi, strafatto e spaventato dalla fragilità delle sue emozioni, assecondato in ogni suo capriccio dal silenzioso «servo» Karl, testimone muto delle sue ire e delle sue sofferenze, dei dolori e degli abbandoni, delle bugie e dei colpi di testa. La linea narrativa del testo «originale» si rivela però quasi subito un «pretesto» con cui Ozon prova a entrare nell'universo fassbinderiano, cercando di restituirne la storia nella relazione tra vita e cinema. Un gioco di specchi - anche spesso esibito nelle inquadrature del suo kammerspiele con foglie al vento - dove la figura del protagonista (è l' attore Denis Ménochet) si sovrappone abbastanza esplicitamente a quella del regista tedesco morto quarant' anni fa (...) e che spesso ha indicato come uno dei suoi riferimenti.(...) E intanto tra le stanze di quell'appartamento e di un «amore più freddo della morte», nella Colonia che appare dal frame di un esterno in forma di teatro di posa, Peter Von Kant diventa sempre più Fassbinder, come in un caleidoscopio di biografia e di film ne indossa il corpo tumefatto dalla poca cura (...) Eppure Ozon non «cede» al biopic, la sua biografia appunto passa per il cinema, che in Fassbinder però intreccia inevitabilmente il vissuto (...) Ma possono bastare le citazioni e rendere il mondo di Fassbinder senza un punto di vista che sia un po' più complesso di quello esibito da Ozon, una interpretazione sovraeccitata del melò? In cui di «creazione» mai si parla e forse nemmeno di amore se non per frasi fatti, un po' fasulle ma non di quel falso splendente che scopre un mistero." (Cristina Piccino, 'Il Manifesto', 11 febbraio 2022)