OBBLIGO DI GIOCARE - ZUGZWANG

ITALIA 1989
All'alba Marco, studente di Architettura e datore di luci in un teatrino romano di prosa, assiste casualmente all'assassinio di una coppia di innamorati. L'assassino fugge in bicicletta e da quel momento Marco lo pedina, si apposta qua e là e finisce con il diventar prigioniero di una ossessione, perchè l'altro continua ad uccidere freddamente e, quanto meno in apparenza, senza motivazione alcuna: prima una donna in un supermercato; poi un uomo sulle scale mobili della metropolitana. Questi, sempre taciturno e in caccia della bicicletta nera, insegue il giustiziere, non denuncia i crimini, gioca con lui a rimpiattino, ma l'altro sempre gli sfugge. Marco si fa ancor più chiuso in se stesso, evita i compagni di studio, ha un rapporto freddo con Paola, la sua ragazza, lavora malvolentieri in teatro e, finchè sua madre è in vita, è scostante e ostile con lei, mentre vaga per la città di giorno e di notte. Dopo l'uccisione della madre di Marco da parte del killer l'incontro decisivo con lo sconosciuto avverrà fra le cabine di uno stabilimento di Ostia: costui ucciderà il ragazzo, liberando questi dai suoi incubi.
SCHEDA FILM

Regia: Daniele Cesarano

Attori: Kim Rossi Stuart - Marco, Andrea Prodan - Jon, Sonia Petrovna - Madre Di Marco, Nicoletta Della Corte - Paola, Stefano Gragnani, Ubaldo Bresti, Paolo Bernardi, Lucia Riccelli, Daria De Florian

Soggetto: Daniele Cesarano, Daniele Senatore, Ugo Pirro

Sceneggiatura: Daniele Cesarano, Daniele Senatore, Ugo Pirro

Fotografia: Alessio Gelsini Torresi

Montaggio: Angelo Nicolini

Scenografia: Stefania Benelli

Durata: 83

Colore: C

Genere: DRAMMATICO

Specifiche tecniche: PANORAMICA A COLORI

Produzione: DANIELE E DONATELLA SENATORE - D.D.S. CIN.CA RAI TRE

Distribuzione: ACADEMY PICTURES - PANARECORD

CRITICA
"Sin dalla prima inquadratura in questo film serpeggia, forte e nitidissima, nello stile delle riprese in campi lunghi e ravvicinati (vengono immediatamente in mente 'L'avventura' e 'Professione Reporter'), l'impronta inconfondibile di Michelangelo Antonioni. 'Obbligo di giocare' ('Zugzwang') è un film certamente accademico, anche un po' compiaciuto sia sul piano formale che cerebrale, ma ha un suo fascino non soltanto calligrafico, che purtroppo resta sospeso. Il film, infatti, non si concretizza, non spiega che quella fuga di Marco può nascondere l'emblematica parabola dì chi ha scelto la droga, il rifugio nel misticismo o nella distaccata contemplazione o in qualsiasi altra individualistica forma di autodistruzione o di macerata contemplazione. Così tutto si riduce a un gioco astratto, benissimo fotografato da Alessio Gelsini e ambientato da Stefania Benelli, interpretato con proprietà da Kim Rossi Stuart, Andrea Prodan, Sonia Petrovna, Nicoletta Della Corte. Restano, tuttavia, nella memoria squarci di inquadrature, tempi sospesi gesti incompiuti: nel panorama frastagliato, senza tendenze omogenee, senza più stilemi omologanti, nati da una industria e da forti presenze di autori-maestri, sono la ricerca di una espressione immatura, ma interessante di fare cinema." (Giovanna Grassi, 'Il Corriere della Sera', 2 Settembre 1990)

"Che sia bene incoraggiare la produzione italiana e le nuove generazioni non è in discussione e merita tutta l'attenzione chi se ne fa carico (in questo caso Daniele e Donatella Senatore che produssero 'Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto'). Un discorso che vale anche per 'Obbligo di giocare' ('Zugzwang') dell'esordiente Daniele Cesarano. Ma la premessa non esime dall'obbligo, da questa pane dello schermo, di rilevare i difetti disgraziatamente ricorrenti. Cesarano come tanti suoi predecessori ha quello di portare su di sé il peso di tutta la concezione e la realizzazione del film (malgrado alla voce sceneggiatura figuri anche la firma di Ugo Pirro) senza forza ed esperienza sufficienti. Se la sua regìa denota una mano sensibile e un senso dell'immagine davvero spiccato, debole appare invece la struttura drammaturgica, e così i dialoghi per quanto ridotti all'osso: le prime parole si fanno attendere quasi un quarto d'ora. Segno che l'illusione di poter sostituire con un uso anche molto elaborato della macchina da presa e delle sue possibilità di movimento la tecnica di un copione di buona fattura, continua ad essere dura a morire." (Paolo D'Agostini, 'la Repubblica', 30 Agosto 1990)