Le piccole fughe

Les petites fugues

SVIZZERA 1979
Svizzera, Cantone di Vaud. Pipe vive e lavora da oltre quarant'anni come bracciante e domestico in una fattoria tra le montagne del Giura, ed è considerato dai suoi datori di lavoro come una persona di famiglia. Un giorno, con i primi soldi che gli arrivano dalla pensione, Pipe decide di comprare un ciclomotore. Un bracciante italiano gli insegna ad usarlo, e attraverso il nuovo mezzo, Pipe scoprirà orizzonti fino ad allora sconosciuti. Orizzonti non solo materiali - le campagne vicine, le foreste, le montagne - ma anche mentali, perché le sue "piccole fughe" gli daranno quel senso di libertà e autonomia sino ad allora sconosciute. In seguito, grazie all'acquisto di una macchina fotografica Polaroid, Pipe inizierà a cogliere pure le immagini di ciò che lo circonda, e non solo i paesaggi, ma anche la gente, divenendo consapevole del loro modo di essere nei suoi confronti. Presa coscienza degli ambienti, dei paesaggi e degli uomini attorno a lui, Pipe decide di concedersi di realizzare un ulteriore sogno: vedere da vicino il suo mito, il Monte Cervino...
SCHEDA FILM

Regia: Yves Yersin

Attori: Michel Robin - Pipe, Fabienne Barraud - Josiane, Dore De Rosa - Luigi, Fred Personne - John, Mista Prechac - Rosa, Laurent Sandoz - Alain, Nicole Vautier - Marianne, Léo Maillard - Stephane, Pierre Bovet - Fattore, Roland Amstutz - Consigliere gestionale, Maurice Buffat, Yvette Théraulaz, Joseph Leiser, Gerald Battiaz, Martine Simon

Sceneggiatura: Yves Yersin, Claude Muret

Fotografia: Robert Alazraki

Musiche: Leon Francioli

Montaggio: Yves Yersin

Scenografia: Jean-Claude Maret

Costumi: Marianne Monnier, Vercellotti Frères - per 'Pipe'

Effetti: Hermann Wetter, Robi Engler

Suono: Luc Yersin

Durata: 138

Colore: C

Genere: DRAMMATICO COMMEDIA

Specifiche tecniche: 35 MM

Produzione: FILM ET VIDEO COLLECTIF, FILMKOLLEKTIV ZURICH, TELEVISION SSR GENEVE, TELEVISION FR3, LES FILMS 2001

NOTE
- PRESENTATO AL 32MO FESTIVAL DI CANNES (1979) NELLA SEZIONE 'UN CERTAIN REGARD'.

- GRAN PREMIO DELLA GIURIA INTERNAZIONALE E PREMIO DELLA GIURIA ECUMENICA AL 32MO FESTIVAL DI LOCARNO (1979).
CRITICA
"La grazie e l'incanto del film - che non a caso Yersin ha realizzato dopo anni di documentarismo etnografico ispirato soprattutto ai problemi della terza età, nell'ambito di mestieri che stanno scomparendo - nascono, specie nella prima parte, dalla felicità intensissima della sua struttura narrativa e dalla poesia sommessa ma puntuale dei suoi modi di rappresentazione. La struttura narrativa tende al ritratto: di un vecchio nel suo ambiente. Contemporaneamente, però, attraverso questo ritratto, tende a costruire anche lo sfondo, la famiglia che abita la fattoria, i suoi rapporti interpersonali, i suoi stati d'animo. E più il ritratto del vecchio si profila, più si stagliano, attorno, quelli degli altri, con minimi accenni, allusioni discrete, riferimenti leggeri e di sfuggita. Fino a dar vita a un panorama umano in cui tutto ha il suo posto, in primo piano, di fianco, in lontananza, esatto, ben disegnato, preciso. Fra i due ritratti, il singolo e il coro, non c'è mai contraddizione. Nascono insieme e anche se l'accento è sul singolo, il coro ha ugualmente il suo peso e richiama tutta la giusta attenzione. Sono raccontati, del resto, quasi allo stesso modo, molto più all'interno che non dall'esterno con poche battute di dialogo con illustrazioni e spiegazioni che scaturiscono solo dai gesti, dai comportamenti. Li distinguono e consentono di parlare di poesia (citando appunto Olmi e Kurosawa), i modi di rappresentazione. Il coro, la vita di famiglia alla fattoria, i problemi economici e i dilemmi sull'avvenire obbediscono a uno schema realista che ricorda da vicino lo stile documentaristico tipico di Yersin, che è quello tipico del cinema svizzero tedesco di documentazione, paziente, attento, minuzioso, con un senso costante di verità, i tempi sempre giusti, meditati, accordati ai ritmi naturali della vita di campagna. Il singolo, invece, il vecchio nella sua rivolta e nelle sue conquiste, è visto spesso ai limiti del visionario, in armonia con quelle ricerche stilistiche del cinema svizzero romando cui Yersin, autore bilingue, non è stato in passato proprio estraneo. (...) per un verso, perciò, lo spaccato di vita; per un altro la favola, con quel suo sapore di apologo sulla presa di coscienza e sulla conquista della piena autonomia che non le impedisce di dar rilievo ancora una volta, di sfondo, come in tutto il cinema di Yersin, alle età al tramonto strettamente collegate anche al tramonto di una civiltà, ai guasti dell'industrializzazione , sotto sotto, ai rischi delle repressioni, sia pur blande, della libertà. (...) sempre, comunque, con particolare densità emotiva e, nello stesso tempo, con asciutto rigore. Senza rasentare mai né il patetico né il troppo quotidiano; sempre in equilibrio, anzi, fra lirica e cronaca. Riflette questo equilibrio, l'interpretazione attentissima del protagonista, l'attore francese Michel Robin (...) in grado di ricreare ad ogni istante un modo d'essere che diventa un modo di sentire. Ruvido e saldo nel concreto, trasparente e ispirato nel visionario." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 4 agosto, 1979)