L'arcano incantatore

ITALIA 1996
Achille Ropa Sanuti, un anziano sacerdote della Curia bolognese, esiliato tra i boschi dell'Appennino dopo essere stato accusato di studi esoterici, vive in un tetro castello colmo di libri insieme a Nerio, un vecchio scritturale considerato un satanico. Ai viveri provvede una comunità di laiche, alloggiate in una lontana masseria. Nel 1790 Nerio muore di una oscura morte ed in aiuto all'anziano sacerdote giunge Giacomo Vigetti, un giovane seminarista padano con esperienza di archivi, in fuga dagli Stati Pontifici (perché accusato di aver ingravidato e fatto abortire una ragazza). A proteggere il giovane ha provveduto una matura dama, affascinata da cabale e studi sui fenomeni dell'ultraterreno. L'arcano incantatore (pseudonimo dello scomunicato Achille Ropa Sanuti) accoglie e mette al lavoro il giovane, al quale detta in codice misteriose missive frutto delle sue ricerche e sempre attingendo alla sterminata biblioteca. Il mistero inquieta l'ex seminarista, ma non lo terrorizza, anzi lo intriga. Intanto egli scopre che la morte del defunto scriba era stata stranamente preceduta da quella di due giovanissime converse della masseria (tuttavia, più che morte date per scomparse). Poi si susseguono fenomeni e rituali iniziatici (bicchieri colmi di vino che volano per aria e si frantumano sui muri; pipistrelli che si abbeverano golosi in bacinelle di sangue): sembra a Giacomo che la presenza del Maligno sia innegabile. Frattanto l'anziano prete passa da un libro ad un salasso: forse, indebolito nel corpo e nella mente, egli è prossimo alla morte e, con ciò, alla soluzione dell'enigma, che è stato il più duro e assillante tra i suoi lunghi studi sul paranormale e per il suo intelletto teso alla ricerca. Morto lo scomunicato, Giacomo scopre che, in luogo del corpo di costui, circola fra libri e documenti quello del risuscitato Nerio, quel misterioso Nerio evidentemente immortale e onnipresente, seduttore assassino dietro al suo orrendo ghigno.
SCHEDA FILM

Regia: Pupi Avati

Attori: Carlo Cecchi - Achille Ropa Sanuti, l'Arcano Incantatore, Stefano Dionisi - Giacomo Vigetti, Andrea Scorzoni - Don Zanini, Mario Erpichini - Padre Tommaso, Vittorio Duse - Parroco Medelana, Patrizia Sacchi - Vielma, Arnaldo Ninchi - Aoledo, Eliana Miglio - La prostituta malata, Claudia Lawrence - La domestica del parroco, Consuelo Ferrara - Severina, Saverio Laganà - Il giovane prelato della Curia

Soggetto: Pupi Avati

Sceneggiatura: Pupi Avati

Fotografia: Cesare Bastelli

Musiche: Pino Donaggio

Montaggio: Amedeo Salfa

Scenografia: Giuseppe Pirrotta

Costumi: Vittoria Guaita

Durata: 96

Colore: C

Genere: FANTASY

Specifiche tecniche: PANORAMICA A COLORI

Produzione: ANTONIO AVATI E AURELIO DE LAURENTIIS PER DUEA FILM, FILMAURO

Distribuzione: FILMAURO - FILMAURO HOME VIDEO

NOTE
- REVISIONE MINISTERO MARZO 1996.
CRITICA
"Giustamente, il regista sacrifica gli effetti speciali tipici del genere all'orchestrazione d una suspense tenuta su toni più allusivi, mischiando gli ingredienti satanici a uno sguardo più personale sul mistero della morte. Può darsi che gli estimatori dell'horror occultista restino delusi, anche perché il film distilla con parsimonia accadimenti e rivelazioni; ma chi apprezza il cinema di Avati ritroverà nell''Arcano incantatore' l'evocazione di un sovrannaturale molto 'terreno' atto di superstizione e concretezza, sullo sfondo di una natura che incombe come una presenza sui destini dei protagonisti. Se l'invadente musica hitchcockiana di Pino Donaggio contrappunta per contrasto lo srotolarsi della vicenda, preparando lo showdown finale a base di picconate e cadaveri putrefatti, gli interpreti sfoderano un tono più 'freddo' e trattenuto: Stefano Dionisi conferendo al seminarista lo stupore del neofita di fronte al manifestarsi di un Maligno che lo porterà alla dannazione, Carlo Cecchi facendo dell''arcano incantatore' un'autentica autorità in materia di necromanzia, doppio e ambiguo come sanno essere gli emissari di Satana. (Michele Anselmi, 'l'Unità', 25 aprile 1996).

"'L'arcano incantatore' è film ricco di attrattive visive valorizzate al meglio dal direttore della fatografia Cesare Bastelli e dallo scenografo Giuseppe Pirrotta e, per così dire, 'eccitate' dalle musiche di Pino Donaggio. Su scarsi brandelli di una cronaca municipale (all'origine del film c'è la storia di uno spretato settecentesco), dilatata dall'immaginario contadino, Pupi Avati costruisce un'abile racconto di paura e suscita disagio e inquietudine servendosi di mezzi espressivi minimi (pensate: un lampadario che si solleva nella biblioteca) senza quasi mai ricorrere a effetti speciali. Ma, pur apprezzando la felice adesione al doppio registro dell'attrazione e della repulsione dell'attore Carlo Cecchi che è monsignore, si dovrà avvertire che, avvicinandosi il momento culminante, il momento dell'incontro con l'entità che determina quelle atmosfere spaventose, il senso di sospensione si riduce. Più che alla registrazione di una trama del maligno si ha, allora, l'impressione di trovarsi davanti a un 'poltergeist' campagnolo, sicuramente assai ben congegnato. (Francesco Bolzoni, 'Avvenire', 26 aprile 1996)

"Tra segni ed enigmi, con quella 'fola esoterica delle nostre campagne' che è 'L'Arcano Incantatore' Pupi Avati torna in apparenza alle seduzioni del passato, all'universo del mistero, del soprannaturale e dell'horror che lo avevano affascinato all'inizio della sua carriera di regista ('Thomas', 'Balsamus', 'La casa dalle finestre che ridono', 'Zeder'). In realtà compie una riflessione matura sulla morte, sull'onnipresenza del Male personificato, del Maligno, del Demonio: e realizza con mezzi ridotti un film produttivamente impeccabile, recitato benissimo da Carlo Cecchi e bene da Stefano Dionisi, magistralmente fotografato da Cesare Bastelli nel contrasto tra le luci dorate dell'incantata campagna e i minacciosi toni oscuri all'interno del castello (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 21 aprile 1996)

"L'accoppiata Dionisi-Cecchi, ha detto Avati, è impegnata in un match di pugilato. Io lo definirei un duello di bravura. E mentre gli accenti, i suoni, le parole del film sono tutti padani, giustamente naturali e sporchi (rendiamone merito al responsabile del suono in diretta, Raffaele De Luca, che da anni coadiuva Avati in questa sua scelta di naturalezza), il direttore della fotografia Cesare Bastelli, lo scenografo Giuseppe Pirrotta e la costumista Vittoria Guaita costruiscono, con un budget che ci dicono modesto, un film di grande smalto visivo, assolutamente inconsueto nel nostro panorama cinematografico oltre che per temi, per scelte stilistiche. (Irene Bignardi, 'La Repubblica', 27aprile 1996)

"Dopo 'Magnificat' Pupi Avati ha fatto un'altra incursione nella Storia e anche Stefano Dionisi, dopo aver portato sugli schermi la figura del castrato 'Farinelli', è tornato a misurarsi con un film di ambientazione non contemporanea. Ma l'incontro tra i due non ha fatto scintille: il regista bolognese si muove con un certo disagio fuori del contesto del cinema di memoria e di esplorazione dei misteri sentimentali e il giovane attore annaspa con un monocorde repertorio naturalistico senza andare al di là di un'unica espressione. (Alberto Castellano, 'Il Mattino', 27 aprile 1996)