La marchesa von...

La marquise d'O

GERMANIA 1976
Nel 1799 i cosacchi assaltano una cittadella dell'Italia cisalpina, conquistando il castello comandato dal marchese von O. Sua figlia Giulietta, vedova e madre di due bambine, è aggredita da alcuni soldati, che tentano di violentarla. La salva il provvidenziale intervento di un tenente colonnello russo, il conte di F., che la riconsegna ai genitori. Qualche tempo dopo, l'uomo, che la famiglia di Giulietta credeva morto, si presenta al castello chiedendo con importuna insistenza la mano della giovane marchesa, ma ottiene un fermo anche se condizionato rifiuto. Passano i giorni, e Giulietta, che ne aveva avuto il presentimento, ha ora la certezza di essere incinta. Ella è sicura della propria innocenza: non lo sono invece i suoi genitori, che la cacciano di casa. Noncurante dello scandalo, pur di dare un padre al nascituro, Giulietta pubblica un annuncio su un giornale, invitando l'ignoto responsabile della sua gravidanza a presentarsi, promettendogli di sposarlo. Con sua enorme e sgradita sorpresa, chi risponde all'annuncio è il conte, il quale confessa d'avere approfittato di lei mentre era svenuta, la notte stessa in cui l'aveva strappata alla soldataglia. Malgrado la sua profonda indignazione, e purché il conte rinunci ai suoi diritti coniugali, Giulietta lo sposa. La nascita del bambino, però, e le sincere prove di devozione del conte indurranno la marchesa, un anno dopo, a ricambiare finalmente il suo amore.
SCHEDA FILM

Regia: Eric Rohmer

Attori: Edith Clever - Marchesa Julietta von O, Bruno Ganz - Il conte, Peter Lühr - Il padre della marchesa, Edda Seippel - La madre della marchesa, Otto Sander - Il fratello della marchesa, Ruth Drexel - La levatrice, Hesso Huber - Il facchino, Bernhard Freyd - Leopardo, Eduard Linkers - Il medico, Eric Schachinger - Generale russo, Richard Rogner - Ufficiale russo, Thomas Straus - Il portalettere, Volker Prechtel - Il sacerdote, Marion Müller - Domestica, Heidi Möller - Domestica, Franz Pikola - Cittadino, Theo de Maal - Cittadino, Petra Meier - Figlia della marchesa, Manuela Mayer - Figlia della marchesa

Soggetto: Heinrich von Kleist - racconto

Sceneggiatura: Eric Rohmer

Fotografia: Néstor Almendros, Jean-Claude Rivière - operatore

Musiche: Roger Delmotte

Montaggio: Cécile Decugis, Annie Leconte - assistente

Scenografia: Roger von Möllendorff, Bernhard Frey, Hervé Grandsart

Arredamento: Rolf Keden, Helo Gutschwager

Costumi: Moidele Bickel, Dagmar Niefind - assistente

Effetti: Angelo Rizzi, André Treili

Altri titoli:

La marchesa d'O

La marquise d'O...

LA MARCHESA D'O

Die Marquise von O...

Durata: 107

Colore: C

Genere: PSICOLOGICO DRAMMATICO

Specifiche tecniche: 35 MM., EASTMANCOLOR

Tratto da: racconto omonimo di Heinrich von Kleist

Produzione: KLAUS HELLWIG, BARBET SCHROEDER PER JANUS FILMPRODUKTION, ARTEMIS PRODUCTIONS, LES FILMS DU LOSANGE, GAUMONT

Distribuzione: VIS STAR (1977) - CREAZIONI HOME VIDEO, NUMBER ONE VIDEO

NOTE
- DIALOGHI: ERIC ROHMER.

- SUONO: JEAN PIERRE RUH.

- PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA AL FESTIVAL DI CANNES NEL 1976.
CRITICA
"Tratto da un racconto di Heinrich von Kleist, il film è opera deliziosa sotto ogni aspetto - dalla ricostruzione di ambienti e costumi che ci appaiono incredibilmente remoti al disegno dei personaggi, dalla perfezione del ritmo alla finezza dell'interpretazione. Il suo maggior fascino, tuttavia, lo trae dal sublime distacco, che non è però freddezza, con cui il regista osserva e descrive i tormenti della sua eroina, dei suoi familiari, del conte, attento a rilevarne sia gli aspetti melodrammatici, sua quelli comici". ('Segnalazioni cinematografiche', vol. 84, 1978)

"[...] Un film, in cui tutti piangono, svengono, si amano, si odiano, esaltano ideali, sono travolti da passioni violente o permeati da delicati sentimenti. L'opera di Kleist, in questo film, è come un dramma raccontato di nuovo, un'opera teatrale trasposta in film, con entrate ed uscite perfettamente calcolate, messaggi, grandi scene d'insieme e lettere che fanno scattare la dinamica dell'azione. Tutto questo condito con un complicato linguaggio stilizzato che si rivolge spesso, con patetica commozione, attraverso parole galanti e misurate. Un film spettacolare in cui Rohmer, chiaramente innamorato dello stile Impero, cura ogni sequenza in modo tale da farla apparire come un dipinto dei primi del XIX secolo, facendo muovere i suoi personaggi in una cornice rigorosamente neoclassica. Si può parlare anche di commedia perché il regista non tralascia mai un'occasione per fare dell'umorismo, per insinuare dell'ironia, riuscendo insieme con il pathos, a sviluppare la comicità e il sentimento, affrontando con coraggio sia le facezie melodrammatiche sia quelle tragiche, liete e sentimentali. Rohmer e Kleist: coincidono perfettamente, sono un unico uomo. I personaggi di Kleist vivono nell'eterno conflitto psicologico (Rohmer lo definirebbe moralistico) tra essere e consapevolezza, tra sentimento e intelletto, tra io assoluto e le reali esigenza ambientali. I problemi e le incertezze della marchesa e del conte non si discostano da quelli delle "storie morali": lei lo ama e lo odia, lo chiama angelo e demonio contemporaneamente; lui, il nobile salvatore, è allo stesso tempo un uomo impulsivo che non conosce ostacoli, che le offre il proprio nome e che l'ama appassionatamente. Edith Clever e Bruno Ganz, due attori della Schaubühne am Hallescen Ufer di Berlino, sono due figure ideali uscite dalla mente di Kleist: sognatori, eternamente tra le nuvole, ingenui, spinti e travolti dal vortice della consapevolezza, della riflessione, delle loro lacerazioni, che alla fine, però, riconquistano dignità e soavità perché sono "puri di cuore". Il grosso rischio che il film nascondeva è superato proprio grazie alla loro intensità, alla loro fede interiore. Meno felice la scelta di Edda Seippel e Peter Lühr, che interpretano i ruoli della madre e del padre della marchesa; lei si sforza spasmodicamente di rendere naturale un linguaggio "elevato", mentre lui è solo preoccupato di mostrare un pathos convenzionale, da teatro di corte. Risultato: qualche momento involontario di comicità. (Wolf Donner, "Il Tempo").

"[...] Favola arguta che prendeva per il bavero il culto illuminista della ragione ricamando sugli scherzi della natura e i capricci del cuore, la novella di Kleist ha trovato in Rohmer un reinventore di gran classe. Che restando fedele al testo e senza modificare i dialoghi ne ha espresso le grazie sorridenti con una 'mise-en-scène' di squisita unità stilistica, dove gli echi del suo Marivaux, governati da una mano perfettamente calibrata, sono in raffinato equilibrio con gli umori romantici, sì che ne esce una commedia di lietissimo sapore . Prevalentemente ambientato in interni (il film è stato girato in un castello vicino a Norimberga), l'opera respira nei minimi particolari dell'arredamento e delle 'toilettes', nella sobrietà della recitazione e dei riti sociali, il gusto dell'epoca con preziosa purezza figurativa, e nel contempo è modernissima per i distacco con cui traduce attraverso il contegno e i dialoghi dei personaggi le loro tempeste emotive. Gli attori, in gran parte venuti dal teatro della 'Schausbühne' di Berlino, sono tutti di alta scuola, ma il loro maggior merito sta nell'ubbidire a un regista che, senza forzare il modello letterario, ne sa ugualmente illuminare gli spunti comici e le note di costume, i dati psicologici e la cornice storica, stilizzando le figure con massima sobrietà di linee, giusta dose di colore e costante tensione narrativa. 'Humour', armonia e levità hanno sovrainteso a 'La marchesa d'O'; auguriamoci che il film venga anche in Italia e che il suo amabile gioco gli procuri qualche alloro a Cannes [...]". (Giovanni Grazzini, "Il Corriere della Sera).

"'La marchesa von...' è tratto da un racconto di Heinrich von Kleist, pubblicato nel 1808, sulla rivista "Phobus", che si stampava a Dresda. Nonostante il cognome, di chiara origine tedesca, ha realizzato questo film in tedesco e per una produzione della Germania Federale. Il regista ('La mia notte con Maud', 'La collezionista') ha seguito con estrema fedeltà il testo letterario di Kleist, riproducendone anche i dialoghi, aiutato dal fatto che le descrizioni di Kleist sono minuziose e precise quasi quanto una didascalia. È una storia che, come spesso avviene in Kleist, scompone la realtà nel duplice piano della ragione e della fantasia, dell'essere e dell'apparire, sottomettendo il gioco psicologico alla volontà di scelte di carattere da parte della protagonista. Come lo stile di Kleist è preciso e diretto, senza immagini e descrizioni, ma tutto nutrito di cose, la regia di Rohmer procede con estrema oggettività narrativa, puntando ogni significato sul comportamento dei personaggi. Gli interpreti principali sono tra i più noti del teatro tedesco contemporaneo e recitano con straordinaria bravura [...]".(Mauro Manciotti, "Il Secolo XIX").

"Un tuffo nel '700, nei suoi umori, nei suoi sapori, nelle sue grazie e nelle sue ipocrisie; una rivisitazione del "secolo dei lumi" d'impeccabile ambientazione e vivida intelligenza. [...] Immagini sontuose danno vivo, nel loro scorrere, il senso di un'esistenza intessuta sulla forma, tra trine e merletti, sulle più rigide convenzioni che tolgono respiro alla spontaneità e comprimono gli aneliti del cuore, negando la volubilità e la capricciosità della condizione umana. Immagini che pure contengono, nel tripudio delle tinte e nella pacatezza della recitazione, la posizione critica del regista sia nel delineare i personaggi (interpretati con eccezionale aderenza ai loro ruoli da attori che non ci sono noti ma che sono bravissimi) sia nell'interesse il racconto (si veda, in proposito, per fare un esempio, la sottigliezza ironica delle didascalie, concepite nel linguaggio del "feuilleton" e del cinema muto, che distaccano come siparietti le sequenze salienti). L'incedere teatrale (il film è quasi tutto in interni, ambientato in sale e salotti principeschi; ma i pochi esterni, sobri e veraci, conferiscono sufficiente ariosità all'insieme) riporta, in certo qual modo, al teatro d'epoca, a un Molière, a un Goldoni passati al setaccio storico di due secoli dopo". (Francesco Colombo "L'Eco di Bergamo").