Kreuzweg - Le stazioni della fede

Kreuzweg

4/5
Il fondamentalismo religioso? Non solo islamico. Ecco un tesissimo film di denuncia sul cattolicesimo ultraconservatore

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GERMANIA 2014
La 14enne Maria è stretta tra due mondi: a scuola ha tutti gli interessi tipici di un'adolescente, ma quando è a casa con la sua famiglia segue gli insegnamenti della 'Fraternità di San Paolo' e la loro interpretazione fondamentalista del cattolicesimo. Tutto quello che Maria pensa e fa è posta all'attenzione di Dio: il suo cuore appartiene a Gesù e lei è decisa a seguirlo, a diventare santa e andare in Paradiso. E poiché il Signore è un pastore rigoroso, la ragazza vive nella costante paura di commettere qualche peccato. Divisa tra i dogmi familiari, le convinzioni del mondo esterno e l'interesse per Christian, un compagno di scuola, Maria, nel disperato tentativo di accontentare tutti, si troverà intrappolata in mezzo a due fuochi e a passare attraverso 14 stazioni, proprio come fece Gesù nel suo cammino verso Golgota, per raggiunge il suo obiettivo finale.
SCHEDA FILM

Regia: Dietrich Brüggemann

Attori: Lea van Acken - Maria, Franziska Weisz - Madre, Florian Stetter - Padre Weber, Lucie Aron - Bernadette, Moritz Knapp - Christian, Klaus Michael Kamp - Padre Klaus, Hanns Zischler - Impresario pompe funebri, Birge Schade - Insegnante di ginnastica, Georg Wesch - Thomas, Ramin Yazdani - Medico

Sceneggiatura: Dietrich Brüggemann, Anna Brüggemann

Fotografia: Alexander Sass

Montaggio: Vincent Assmann

Scenografia: Klaus-Peter Platten

Costumi: Bettina Marx

Altri titoli:

Stations of the Cross

Durata: 107

Colore: C

Genere: DRAMMATICO

Produzione: UFA FICTION IN COPRODUZIONE CON ARTE E SWR

Distribuzione: SATINE FILM

Data uscita: 2015-10-29

TRAILER
NOTE
- ORSO D'ARGENTO PER LA MIGLIOR SCENEGGIATURA E PREMIO DELLA GIURIA ECUMENICA AL 64. FESTIVAL DI BERLINO (2014).
CRITICA
"Opera radicale con 14 sequenze a macchina fissa, 14 tappe del Calvario, di Dietrich Brüggemann, regista che certo ama i film di Dumont, prima ancora 'Ordet' di Dreyer e Bergman. Spietato come un teorema, respinge la pìetas e privilegia l'antropologia religiosa: un'opera notevolissima, pezzo unico che sorpassa il relativismo verso l'assoluto, espressione audace di un martirio aggiornato, con un maxi complesso di colpa tedesco ma cui attingiamo tutti." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 29 ottobre 2015)

"È una riflessione sulla spiritualità a confronto con la società contemporanea, come sono stati alcuni tra i più importanti film dell'ultimo decennio: da 'In memoria di me' di Saverio Costanzo al tedesco 'Il grande silenzio', al polacco 'Ida'. Ma 'Kreuzweg' ( in tedesco via crucis ) è anche testimonianza su un fenomeno preciso, di deviazione del cattolicesimo. Attraverso la vicenda dell'adolescente Maria votata alla santità sotto pesanti condizionamenti, raccontata con stile asciutto e severo attraverso 14 quadri corrispondenti alle stazioni della Via Crucis, si parla della Fraternità di San Pio X, fondata dal vescovo francese Lefebvre. (...) Spunto di pensieri sul vivere la fede nel mondo reale." (Paolo D'Agostini, 'Il Messaggero', 29 ottobre 2015)

"(...) 'Kreuzweg' inquadra l'integralismo cristiano, nello specifico cattolico: vittima della religione e figura Christi insieme, l'adolescente Maria si mette sulla scia dei curati di campagna, delle Bess vontrieriane. Ma qui tutto è rigoroso, geometrico, pure troppo, e si sconfina nella tesi: manca la sporcizia e latitano i battiti, dove sono finite le onde del destino?" (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 29 ottobre 2015)

"Dietrich Brüggeman mette in scena in quattordici quadri la via crucis di Maria Göttler (nome e cognome molto trasparenti) (...). Risolti per la maggior parte in inquadrature fisse in piano sequenza, il regista deroga alla regola solo in tre casi, nell'episodio della chiesa durante la celebrazione della cresima, in ospedale mentre la protagonista muore fuori campo non vista grazie a un décadrage e alla fine, al cimitero, quando un dolly dichiara in maniera decisamente esplicita che la ragazza è ascesa al Cielo. O forse no. Già, perché Brüggeman, nonostante corteggi con grande impegno un cinema trascendentale, fatica a trasmettere la vertigine dello scandalo del sacro o, meglio, di ciò che trascende la sfera della comprensione umana. La passione di Maria, adolescente che desidera offrire la sua giovane vita a Dio affinché il fratellino Johannes, forse affetto da autismo, possa iniziare a parlare, non convince mai del tutto. Il fascino un po' acerbo, e tutto di intenzione di 'Kreuzweg' sta nell'idea che fissità equivalga a trascendenza. Brüggeman ambisce allo stordimento dell'indicibile raggiunto nell'ascesi formale, privando però il suo film dell'ossigeno necessario a farlo vivere, pulsare come organismo cinematografico (mentre è noto che Dio come il Diavolo si muove negli interstizi). Certo, il film possiede una potenza massimalistica innegabile, plumbea, e il gioco della corrispondenza delle stazioni con quelle della protagonista è orchestrata con grande intelligenza. (...) Il film si offre allo sguardo attraverso il suo approccio osservazionale. E la contraddizione di Brüggeman è nel volere evocare il sacro da un discorso eminentemente politico (motivo per cui da un lato irrita il décadrage dal letto della protagonista che muore sul fratello Johannes mentre diverte l'infermiera che un attimo prima tira fuori dalla bocca di Maria morente l'ostia consacrata che la soffoca). Invece il miracolo, soprattutto al cinema, non si spiega, lo si fa vedere all'opera. E lo si mostra, stando alla lezione di registi come Pialat, come discontinuità del reale, come possibilità di uno scandalo, come segno dell'occhio che vede troppo o troppo poco. Brüggeman, purtroppo, ancorato alla sceneggiatura della sorella (che appare in un cameo da infermiera e, interrogata da Maria, dichiara di credere in «qualcosa» ma non in Dio) resta prigioniero del suo progetto formale e ideologico senza riuscire a compiere il balzo, filmico, verso l'ineffabile. 'Kreuzweg' è anche un film potente ma irrisolto, che mentre da un lato progetta di lasciare le porte aperte all'indicibile, le chiude senza remore. In questo senso, piuttosto che corteggiare Dreyer, modello irraggiungibile, sarebbe stato utile ripassare la lezione di Ulrich Seidl." (Giona A. Nazzaro, 'Il Manifesto', 29 ottobre 2015)

"Da «Gesù è condannato a morte» fino a «Gesù è deposto nel sepolcro», un viaggio che è un pugno nello stomaco dello spettatore. Una pellicola che condanna tutti gli eccessi religiosi." (Maurizio Acerbi, 'Il Giornale', 29 ottobre 2015)

"'Kreuzweg' è un ottimo film tedesco; duro, va a fondo senza scivolare nella didascalia, senza indugi negli ornamenti e compatto. Un film di protestante serietà." ('Libero', 15 febbraio 2014)