Guy - Gli occhi addosso

Guy

GERMANIA 1996
Una misteriosa regista irrompe, un giorno, nella vita dell'ignaro Guy, trentaquattrenne non sposato, con un figlio, e ora convivente con Veronica. Guy ne è infastidito. Se la trova appresso dovunque: per la strada, al bar, sull'autobus, in automobile, in casa. L'onnipresenza di quella macchina da presa diventa per Guy un'ossessione. Nell'illusione che l'estrema 'prestazione' richiestagli -convincere Veronica a farsi riprendere con lui durante un'accoppiamento- possa mettere fine all'insopportabile invadenza di quello strumento, l'uomo accetta con inquietudine, ma la persecuzione non cessa. Nel disperato tentativo di sfuggirvi, Guy, in folle corsa, giunge fino al mare e vi si butta, come per un lavacro purificatore e non riemerge. Un investigatore privato indaga sull'accaduto per conto dell'enigmatica regista senza alcun risultato, e la donna è costretta a raccogliere gli strumenti del suo mestiere e ad allontanarsi. Ma, in modo altrettanto misterioso e inquietante, Guy rientra nella vita dell'indiscreta regista, ossessionandola a sua volta con un inesorabile tallonamento.
SCHEDA FILM

Regia: Michael Lindsay-Hogg

Attori: Vincent D'Onofrio - Guy, Hope Davis, Lucy Liu, Sandy Martin, Michael Massee - Mark, John O'Donohue - Detective, Richard Portnow - Al, Kimber Riddle - Veronica, Valente Rodriguez, Diane Salinger - Gail

Soggetto: Kirby Dick

Sceneggiatura: Kirby Dick

Fotografia: Arturo Smith

Musiche: Jeff Beal

Montaggio: Dody Dorn

Scenografia: Kara Lindstrom

Durata: 91

Colore: C

Genere: DRAMMATICO

Specifiche tecniche: 35 MM (1:1.85)

Produzione: VINCENT D'ONOFRIO, WARREN ROBERT JASON, JOHN MICHAELS, RENÉE MISSEL PER FILMSTIFTUNG NORDRHEIN-WESTFALEN, KRRWH INC., PANDORA FILMPRODUKTION, POLYGRAM FILMED ENTERTAINMENT, PROPAGANDA FILMS

Distribuzione: MIKADO FILM (1997)

NOTE
- REVISIONE MINISTERO MAGGIO 1997.
CRITICA
"La trovata è che il film è tutto in soggettiva, come un libro tutto scritto in prima persona, che comincia sempre con lo. E nuovo e azzardato il modo di usare la soggettiva, che non ammette estranei inseguendo il poveretto durante le sue 24 ore non del tutto tranquille: sull'idea, portata alle sue estreme conseguenze massmediologiche, vigila Andy Warhol, che riprendeva per ore e ore il sonno di un uomo. Il volto del bravo Vincent D'Onofrio - che oggi sembra Marlon Brando ma qualcuno ricorderà come la recluta cicciona di 'Full metal jacket' - ci spiega, anche con un certo eccesso didascalico, quanto sia dannosa l'invasione del cinema nella privacy. Il finale osserva le regole della suspense e del mistero, si può scegliere tra un dramma e una patologia. E nonostante qualche furbata, 'Guy' è un film estremamente interessante, un'ossessione voyeuristica sulla tecnologia". (Maurizio Porro, 'Il Corriere della Sera', 17 maggio 1997)

" 'Guy' di Michael Lindsay-Hogg, regista inglese e pioniere del video-clip, noto finora per lavori assai meno originali e provocatori, vi prende alla gola e non vi lascia più. Sarà la bravura di Vincent D'Onofrio, l'ex-'palla di lardo' di 'Full Metal Jacket' che nel frattempo ha messo su un carisma da giovane Welles. Sarà che il film è girato dal primo all'ultimo fotogramma 'in soggettiva', vale a dire dal punto di vista della macchina da presa. Ma questo 'Guy', che potrebbe esser preso per un film alla moda, un esercizio di stile senza costrutto, è uno dei lavori decisivi della stagione, la metafora definitiva di qualcosa che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni ma che non sappiamo definire". (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero')

"Per il suo radicalismo formale e contenutistico, 'Guy' sembra la quintessenza del prodotto d'autore e invece è un'Idra ad almeno tre teste: la sceneggiatura, intrigante seppure in sospetto di intellettualismo, è stata scritta da Kirby Dick, un documentarista alla sua prima esperienza nella fiction; la regìa, abilissima a trarre partito stilistico dalla rigorosa 'soggettiva' su cui è costruito il film, è firmata da Michael Lindsay-Hogg, figlio dell'attrice irlandese Geraldine Fitzgerald, titolare di una scarna filmografia in cui spicca solo 'Let It Be' dei Beatles risalente al lontano 1970. Ed è fondamentale l'apporto artistico di Vincent D'Onofrio che, sebbene costretto a interloquire e reagire con una macchina da presa, riesce a irradiare sulla pellicola il dolente sentimento di precarietà e impotenza dell'uomo di fine millennio". (Alessandra Levatesi, 'La Stampa', 31 maggio 1997)