Django

2.5/5
Étienne Comar apre il 67° festival di Berlino con un film sul rapporto tra il grande jazzista Reinhardt e il nazismo: opera convenzionale, ma doverosa

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FRANCIA 2017
Parigi, 1943. Durante l'occupazione tedesca, il gitano virtuoso della chitarra Django Reinhardt è al culmine della sua carriera. Ogni notte Parigi è attratta dalla musica swing che suona nel music-hall Folies Bergères, ma nel frattempo il suo popolo, i Sinti, è braccato e massacrato in tutta Europa. Quando il Ministero della propaganda tedesco vuole mandarlo a Berlino per una serie di concerti, Django Reinhardt avverte il pericolo imminente e decide di fuggire in Svizzera con l'aiuto di una sua ammiratrice, Louise de Klerk. Parte quindi per Thonon-les-Bains, sulle rive del lago di Ginevra, insieme alla moglie incinta, Naguine, e a sua madre Negros. La loro fuga, però, si rivela più complicata del previsto e i tre si ritrovano nel vortice della Seconda Guerra Mondiale. Nonostante il difficile periodo, Django Reinhardt continua comunque a essere un interprete e un compositore eccezionale, che con la sua arte e il suo senso dell'umorismo è riuscito a resistere e ad andare alla ricerca di una forma di perfezione musicale.
SCHEDA FILM

Regia: Étienne Comar

Attori: Reda Kateb - Django Reinhardt, Cécile de France - Louise de Klerk, Beata Palya - Naguine Reinhardt, Bim Bam Merstein - Negros Reinhardt, Gabriel Mireté - La Plume, Vincent Frade - Tam Tam, Johnny Montreuil - Joseph Reinhardt, Raphaël Dever - Vola, Patrick Mille - Charles Delaunay, Xavier Beauvois - Medico STO, Àlex Brendemühl - Hans Biber, Ulrich Brandhoff - Hammerstein, Maximilien Poullein - Soldato Billard, Aloïse Sauvage, Antoine Laurent

Soggetto: Alexis Salatko - romanzo

Sceneggiatura: Étienne Comar, Alexis Salatko

Fotografia: Christophe Beaucarne

Musiche: Warren Ellis

Montaggio: Monica Coleman

Scenografia: Olivier Radot

Costumi: Pascaline Chavanne

Durata: 115

Colore: C

Genere: BIOGRAFICO DRAMMATICO

Tratto da: romanzo "Folles de Django" di Alexis Salatko

Produzione: OLIVIER DELBOSC, MARC MISSONNIER, ÉTIENNE COMAR PER ARCHES FILMS, CURIOSA FILMS, MOANA FILMS, PATHE, FRANCE 2 CINEMA, AUVERGNE RHONE ALPES CINEMA

NOTE
- REALIZZATO CON LA PARTECIPAZIONE DI: CANAL +, CINÉ +, FRANCE TÉLÉVISIONS, LA RÉGION AUVERGNE RHÔNE ALPES, CNC ; CON IL SOSTEGNO DELLA RÉGION ILE-DE-FRANCE ; IN PARTNERSHIP CON CNC.

- FILM D'APERTURA, IN CONCORSO, AL 67. FESTIVAL DI BERLINO (2017).
CRITICA
"(...) più che i singoli accadimenti, che in questo periodo della vita del musicista hanno dato origine a versioni contrastanti, a Comar interessa raccontare il percorso di Django verso la sua personale presa di coscienza politica: la scoperta delle persecuzioni cui i nazisti sottopongono la sua gente si intreccia ai limiti che la censura vorrebbe imporre al suo jazz, nella paura che la musica possa «liberare» qualcosa che non diventa più controllabile (come sostiene un generale nazista in una delle ultime scene della pellicola). Che il «messaggio» del film non sia riferibile solo a quello specifico periodo storico, ma abbia una valenza più generale e attuale è lo stesso regista a sottolinearlo con forza. Nella conferenza stampa seguita alla proiezione non fa mal il nome di Trump ma è a lui che si riferisce, rivendicando anche il diritto di reagire a ogni tipo di imposizione più nel proprio specifico campo d'azione (nel caso, il cinema) che solo con dichiarazioni o appelli. Proprio come Django che evita i proclami ma usa la musica jazz per aiutare la Resistenza (come lo si scopre nel film) e ricordare i «fratelli tziganv con un Requiem che per una volta offre una musica sacra a un popolo che ne era sempre stato escluso. O come fa il regista, inserendo in Django un filmino satirico (autentico) che ironizzava sulla prosopopea nazista proprio a ritmo di jazz. Con il limite, però, che la nobiltà dell'intento finisca a volte per appesantire l'emozione e rischi di far perdere al film quell'empatia che invece le musiche di Reinhardt sapevano far nascere in tutti." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 10 febbraio 2017)

"(...) in 'Django', la musica non c'è. O meglio è un complemento illustrativo della sceneggiatura, non permea il film, non ne è parte viva, vitale, non fa correre le immagini come le sue dita sulle corde della chitarra. Ciò che preoccupa il regista è il «contesto», il momento della vita in cui racconta Reinhard: Parigi, la Francia nel 1943, occupata dai nazisti che insieme agli ebrei deportano e uccidono i gitani. (...) Comar, produttore e sceneggiatore (tra gli altri dell'assai meccanico 'Mon Roi' di Maïwenn) svolge il suo compitino nel film d'esordio da regista; evita il biopic (non lo è un film «su» Django questo) per bilanciare in un andamento estremamente formattato della narrazione, e in personaggi che rimangono allo stadio della figurina, la Storia: il Male assoluto dei nazisti, le colpe dei francesi (che certo il governo di Vichy ha fatto cose orribili prono ai nazisti) le responsabilità della resistenza che utilizza il musicista per i suoi scopi. Restano i gitani, dei quali interessa poco, e la resistenza cocciuta di Django anche se poi fuggirà in Svizzera. Fa un po' Wikipedia ma certo non è cinema." (Cristina Piccino, 'Il Manifesto', 10 febbraio 2017)

"Film sul rapporto tra arte e potere, dove la parola «arte» va intesa nella sua accezione popolare e persino «ingenua»: all'inizio Django non sa nemmeno chi sia Hitler, poi prende coscienza e diventa addirittura un fiancheggiatore della Resistenza. (...) 'Django' è tutt'altro che un «biopic», un film biografico di stampo classico come quelli che Hollywood sforna a getto continuo. Isola un episodio essenziale della vita di Reinhardt e probabilmente lo romanza assai, forzando i dati storici in funzione di un apologo molto consapevole. La scena in cui (nel '43!) Django vede Hitler in un cinegiornale e chiede chi sia «quel buffone», dimostrando di non averlo mai sentito nominare, è forse inventata (almeno speriamo!), ma è inventata bene. E' come se il film ci narrasse la nascita di un uomo, che all'inizio della storia è già un formidabile virtuoso della chitarra ma è del tutto irresponsabile artisticamente, sentimentalmente, politicamente. L'assunzione di responsabilità è il vero tema portante di un film che gioca tutto sull'idea di libertà, di confine, di scelta." (Alberto Crespi, 'L'Unità', 10 febbraio 2017)

"Di valore più tematico che cinematografico, all'opera spetta il merito di rievocare una figura luminosa ed esemplare: non è forse un classico che nei periodi di censura estrema l'unica arte ancora tollerata era la musica? Quindi dopo le celebratissime danze e canzoni di 'La La Land' in apertura veneziana, ecco gli accordi improvvisati del gipsy Django ad alzare i battenti del principale festival tedesco: esattamente il Paese che voleva distruggerlo ora lo porta in trionfo inneggiando al jazz, la colonna sonora della libertà." (Anna Maria Pasetti, 'Il Fatto Quotidiano', 10 febbraio 2017)