Cella 211

Celda 211

4/5
Prison-movie muscolare e tesissimo: rivoluzione e repressione secondo Monzón

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SPAGNA 2009
Il giorno prima di prendere servizio, Juan, una giovane guardia carceraria, decide di andare a vedere il penitenziario cui è stato assegnato, ma la scelta si rivela poco fortunata. Proprio in quel giorno, infatti, i detenuti della'ala di massima sicurezza hanno deciso di organizzare una rivolta. Juan si troverà coinvolto suo malgrado e ben presto si rendrà conto che la sua unica via di salvezza è farsi passare come un nuovo carcerato...
SCHEDA FILM

Regia: Daniel Monzón

Attori: Luis Tosar - Malamadre, Alberto Ammann - Juan Oliver, Antonio Resines - Utrilla, Marta Etura - Elena, Carlos Bardem - Apache, Manuel Morón - Almansa, Luis Zahera - Releches, Vicente Romero - Tachuela, Fernando Soto - Armando Nieto, Jesús Carroza - Elvis, Manolo Solo - Direttore del carcere, Félix Cubero - Germán, Juan Carlos Mangas - Calígula, Antonio Durán 'Morris', Jesus Del Caso

Soggetto: Francisco Pérez Gandúl - romanzo

Sceneggiatura: Daniel Monzón - adattamento, Jorge Guerricaechevarría - adattamento

Fotografia: Carles Gusi

Musiche: Roque Baños

Montaggio: Cristina Pastor

Scenografia: Antón Laguna

Costumi: Montse Sancho

Altri titoli:

Cellule 211

Cell 211

Durata: 104

Colore: C

Genere: DRAMMATICO AZIONE

Specifiche tecniche: (1:1.85)

Tratto da: romanzo "Celda 211" di Francisco Pérez Gandul

Produzione: VACA FILMS, MORENA FILMS, TELECINCO CINEMA, LA FABRIQUE 2, LA FABRIQUE DE FILMS

Distribuzione: BOLERO FILM (2010) - DVD E BLU-RAY: CG HOMEVIDEO (2010)

Data uscita: 2010-04-16

TRAILER
NOTE
- PRESENTATO ALLA 6. EDIZIONE DELLE 'GIORNATE DEGLI AUTORI' (VENEZIA, 2009).
CRITICA
"Bella idea per un thriller spagnolo che tiene lo spettatore con il fiato sospeso fino all'ultima scena." (Maria Rosa Mancuso, 'Il Foglio', 05 settembre 2009)

"Formula di gran fattura per 'Celda 211' di Daniel Monzón in cui un giovane secondino al primo giorno di lavoro viene coinvolto suo malgrado nella rivolta dei detenuti del penitenziario. Proverà a farsi passare per uno di loro instaurando un complesso rapporto d'amicizia con il capo dei ribelli. C'è Carlos Bardem (fratello di Javier) ancora in un ruolo di minacciosa presenza fisica come ai tempi de 'La zona' ma soprattutto esplode il talento mimetico di Luis Tosar, semplicemente gigantesco nel ruolo del leader carismatico dei rivoltosi. Una lezione per Michael Mann che lo utilizzò malissimo come criminale in 'Miami Vice'. Potremmo trovare 'Celda 211' candidato spagnolo agli Oscar. Il cinema di genere è cinema d'autore. Quando è così bello." (Francesco Alò, 'Il Messaggero', 11 settembre 2009)

"'Cella 211' (...), dopo accoglienze esultanti - al Lido di Venezia - era nelle Giornate degli autori - e molti premi Goya in patria, non è un capolavoro. Anzi nonostante le intenzioni dichiarate da regista e sceneggiatore di una ricerca in opposizione al 'genere' carcerario vi rientra abbastanza. Certo a ispirare uno dei protagonisti, Alberto Amman, è stata una serie tv argentina e il regista Daniel Monzon che ha scritto la sceneggiatura con Jorge Guerricaechevarria, per il film ha fatto molte ricerche 'sul campo' parlando coi detenuti e con chi lavora in carcere. (...) Non quella del cinema americano di detenuti con casacche a righe e celle che si aprono tutte insieme, ma quella di una violenza quotidiana che domina nell'universo del penitenziario, oppone i detenuti tra loro, i poliziotti ai detenuti, i detenuti contro se stessi. Una violenza dell'emarginazione e del sopruso, come quando un detenuto non viene curato dal medico perché è 'immondizia'. (...) Eccola allora l'attualità che in qualche modo è anche il pregio di questo film. Portarci 'visivamente' in una realtà che troppo spesso continua a essere occultata. Nell'istituzione totale dove rispondere alla giustizia equivale a una perdita di diritto, dignità, umanità. Tutto è negato anche ammalarsi. In Spagna, dicono i protagonisti di 'Cella 211', quando un detenuto sta molto male viene rilasciato. Così l'eventuale decesso non va a ingrossare le statistiche, ufficialmente è morto fuori. Che poi dietro a quella morte ci siano anni di condizioni psicologiche e fisiche insopportabili poco importa. (...) In questo senso 'Cella 211' - che per ora non è ancora stato proiettato in un carcere - è importante. Perché, appunto, nella scelta di una cifra comunque «di realtà» tocca questioni vergognose che è bene far conoscere. E che riguardano il nostro paese e molti altri." (Cristina Piccinno, 'Il Manifesto', 15 aprile 2010)

"Descrivendo il microcosmo di una prigione spagnola dove un secondino neofita si finge detenuto durante una rivolta, il regista Daniel Monzon equipara dentro e fuori della società due volti riflessi del cinico puzzle. Non è solo un ottimo film carcerario dagli echi sociali, è anche la storia d'una struggente, impossibile, romantica amicizia tra due uomini alla deriva, recitati con scialo di emozioni da Alberto Ammann e Luis Tasar. Dal 'Profeta' al video del carcere di Bollate, è tendenza." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera", 16 aprile 2010)

"In 'Cella 211', presentato alla Mostra di Venezia 2009, si vedono situazioni classiche del genere penitenziario americano. Ma il film è spagnolo ed è piaciuto in Spagna, forse proprio perché sembra americano. Monzon ha mestiere, non inventiva, e confeziona un dignitoso prodotto, ma c'è da credere che i veri detenuti siano meno intelligenti e brutali di questi." (Maurizio Cabona, 'Il Giornale', 16 aprile 2010)

"Il carcere non solo non è un luogo di redenzione ma può imbarbarire persino persone lontane da una mentalità criminale. Lo scoprirà tragicamente il protagonista di Cella 211 del regista spagnolo Daniel Monzón. Campione d'incassi in patria e vincitore di otto premi Goya (i maggiori riconoscimenti del cinema iberico), il film racconta una vicenda ad alta tensione, dura, che non risparmia nulla quanto a crudezza sia d'immagini che di linguaggio. Il genere carcerario, esplorato da diverse angolature dal cinema statunitense, diventa dunque terreno di riflessione anche per produzioni europee, che si propongono al pubblico con un buon livello qualitativo, mostrando peraltro una notevole originalità stilistica e narrativa. Così, dopo l'apprezzato Il profeta del francese Jacques Audiard - storia di un fragile diciottenne che nel carcere compirà il suo cammino di formazione criminale - arriva sugli schermi italiani un altro film sull'universo carcerario, che ne ricalca il concetto di fondo: il recupero di un uomo condannato difficilmente passa dalla cella di una prigione. (...) Raccontando la vicenda di Juan, Cella 211, tratto dall'omonimo romanzo di Francisco Pérez Gandul, affronta argomenti sociali rilevanti - denuncia le precarie condizioni di vita nelle carceri, la violenza delle istituzioni - e, nel caso specifico, la difficile gestione di questioni politico legate al terrorismo dell'Eta. Tutto ciò viene mostrato senza alcuna indulgenza, accentuando le debolezze del sistema. Tuttavia non sono questi gli aspetti più intriganti del film, che ha i suoi punti di forza nella carica drammatica della narrazione e nello sviluppo delle dinamiche relazionali dei protagonisti. Monzón - cui va dato atto di aver impresso una cifra stilistica originale alla pellicola, superando i cliché di genere - ha definito la storia una tragedia. Una tragedia legata al fato, ovvero a quel qualcosa di imprevedibile e improvviso che può cambiare e sconvolgere per sempre la vita di ciascuno. (...) A colpire è il cambiamento interiore cui è costretto Juan, travolto da eventi che si era illuso di poter in qualche modo controllare nonostante tutto, e che si troverà suo malgrado a camminare lungo il confine improvvisamente impalpabile tra ciò che riteneva giusto e ciò che non gli appare più tale. Compiere una scelta di campo diverrà più semplice di quanto avesse presupposto. (...) E in questo viaggio verso l'abisso - che lascia però intravedere bagliori di verità - non si riesce a non provare un po' di empatia verso quest'uomo ferito al quale il destino nega persino l'unica drammatica via d'uscita per non precipitare nell'abisso. Si prova compassione forse perché in lui in qualche modo si riconosce la fragilità umana che si evidenzia nei momenti più terribili e di inattesa sofferenza. Quando, in una situazione estrema, il dolore rischia di trasformarsi in odio, l'odio in vendetta e la vendetta in cieca violenza." (Gaetano Vallini, 'L'Osservatore Romano', 17 aprile 2010)