Beuys

3.5/5
Chi è stato il più celebre artista tedesco della seconda metà del XX secolo nel bel doc (in gara) di Andres Veiel

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GERMANIA 2017
L'artista tedesco Joseph Beuys, l'uomo con il cappello, l'artista del feltro e del "Fettecke" ("L'angolo di grasso"). A 30 anni di distanza dalla morte di Beuys, la sua aurea di visionario e precursore dei tempi è ancora riconoscibile. Beuys è stato il primo artista tedesco ad avere le proprie opere esibite in una mostra personale al Museo Guggenheim di New York, mentre in Germania il suo lavoro è stato spesso deriso e considerato come "la spazzatura più costosa di tutti i tempi ". In questo documentario il regista lascia la parola all'artista per parlare di se stesso attraverso inedite registrazioni audio e video, creando un ritratto che, come l'arte dello stesso Beuys, lascia spazio alle idee piuttosto che ai proclami.
SCHEDA FILM

Regia: Andres Veiel

Attori: Joseph Beuys - Se stesso (immagini di repertorio

Sceneggiatura: Andres Veiel

Fotografia: Jörg Jeshel

Musiche: Ulrich Reuter, Damian Scholl

Montaggio: Stephan Krumbiegel, Olaf Voigtländer

Durata: 107

Colore: B/N-C

Genere: DOCUMENTARIO

Produzione: ZERO ONE FILM, IN COPRODUZIONE CON TERZ FILMPRODUKTION, SWR/ARTE, WDR

NOTE
- RICERCHE DI ARCHIVIO: MONIKA PREISCHL.

- ANIMAZIONI: JUTOJO, TOBY CORNISH, JOHANNES BRAUN.

- IN CONCORSO AL 67. FESTIVAL DI BERLINO (2017).
CRITICA
"Vuoi una rivoluzione senza risate? chiedeva Joseph Beuys, e la sua di risata gli attraversava il volto scavato illuminando gli occhi chiari, limpidi, talvolta perduti. L'uomo col cappello che faceva parte della sua figura fino quasi a essere un pezzo di corpo. Sigarette senza filtro, una dopo l'altra. «Ognuno può essere artista» diceva alla Germania degli anni sessanta scandalizzando esperti, accademici, pubblico di quel Paese uscito sconfitto dalla guerra, ostinato nella fatica della ricostruzione e soprattutto deciso affermarsi sul suo passato anche mettendolo alle spalle con troppa energica fretta. E questa «coincidenza» che è soprattutto una violenta (esistenziale) frattura tra l'arte di Beuys, sé stesso, la sua realtà è l'elemento di interesse nel film di Andres Veiel, che altrimenti appare come un biopic documentario piuttosto nella convenzione. Nonostante gli archivi (il regista ha visionato oltre 300 ore di materiali) bellissimi, bianco e nero e colore che mostrano il suo protagonista al lavoro, nelle performance, nelle interviste, nel suo tempo insomma. 'Beuys' è il racconto di Joseph Beuys (...) attraverso appunto la documentazione della sua presenza e le voci di chi lo ha conosciuto (...). Veil organizza i materiali più o meno narrativamente cercando questo «punto di rottura» la radicalità di un gesto artistico come forma politica, come la resistenza di un'utopia. Ma a differenza del suo precedente (un grande successo) 'Black Box Germany' (2001), ancora una storia tedesca, la Germania tra la guerra e la lotta armata, qui la forza sovversiva del suo soggetto non si distilla nelle immagini. Rimane il carisma di Joseph Beuys, e l'importanza pedagogica della trasmissione della sua esperienza." (Cristina Piccino, 'Il Manifesto', 15 febbraio 2017)