A proposito di Davis

Inside Llewyn Davis

4/5
La consueta, amorevole malinconia dei Coen: gli anni '60 e il precursore folk di Bob Dylan

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USA 2012
Le vicende di Llewyn Davis, un cantautore che cerca di destreggiarsi sulla scena folk di New York nel corso degli anni Sessanta. Llewyn lotta per guadagnarsi da vivere come musicista con la sua inseparabile chitarra, affrontando ostacoli che sembrano insormontabili e sopravvivendo grazie a piccoli lavoretti all'aiuto di qualche amico o di qualche sconosciuto. Poi, un giorno, si presenta l'occasione per un'audizione di fronte a Bud Grossman...
SCHEDA FILM

Regia: Joel Coen, Ethan Coen

Attori: Oscar Isaac - Llewyn Davis, Carey Mulligan - Jean Berkey, John Goodman - Roland Turner, Garrett Hedlund - Johnny Five, Justin Timberlake - Jim Berkey, F. Murray Abraham - Bud Grossman, Stark Sands - Troy Nelson, Adam Driver - Al Cody, Jerry Grayson - Mel Novikoff, Robin Bartlett - Lillian Gorfein, Max Casella - Pappi Corsicato, Ethan Phillips - Mitch Gorfein, Michael Rosner - Arlen Gamble, Stan Carp - Hugh Davis, Jake Ryan - Danny, Steve Routman - Dott. Marcus Ruvkun, Ricardo Cordero - Nunzio, Jeanine Serralles - Joy, Helen Hong - Janet Fung, Alex Karpovsky - Marty Green, Bonnie Rose - Dodi Gamble, Ian Jarvis - Sig. Cromartie, Benjamin Pike - Dylan

Sceneggiatura: Joel Coen, Ethan Coen

Fotografia: Bruno Delbonnel

Musiche: T-Bone Burnett - produttore escutivo musicale, Marcus Mumford - produttore musicale associato

Montaggio: Joel Coen, Ethan Coen

Scenografia: Jess Gonchor

Arredamento: Susan Bode

Costumi: Mary Zophres

Effetti: Framestore

Suono: Skip Lievsay - missaggio, Greg Orloff - missaggio, Peter F. Kurland - missaggio

Durata: 105

Colore: C

Genere: DRAMMATICO

Specifiche tecniche: ARRICAM LT, 35 MM

Produzione: SCOTT RUDIN, ETHAN COEN, JOEL COEN PER SCOTT RUDIN PRODUCTIONS, MIKE ZOSS PRODUCTIONS, STUDIOCANAL

Distribuzione: LUCKY RED (2014) - DVD E BLU-RAY: LUCKY RED HOME VIDEO (2014)

Data uscita: 2014-02-06

TRAILER
NOTE
- GRAND PRIX AL 66. FESTIVAL DI CANNES (2013).

- CANDIDATO AI GOLDEN GLOBES 2013 PER: MIGLIOR FILM (CATEGORIA MUSICAL/COMMEDIA), ATTORE PROTAGONISTA (OSCAR ISAAC) E CANZONE ORIGINALE ("PLEASE MR. KENNEDY").

- CANDIDATO ALL'OSCAR 2014 PER MIGLIOR FOTOGRAFIA E MISSAGGIO SONORO.
CRITICA
"'A proposito di Davis', premiato a Cannes con il Gran Premio della Giuria e ingiustamente bistrattato agli Oscar (...) si collega idealmente al precedente 'A Serious Man', di cui sembra un prodromo in chiave musicale (...). E di cui riprende soprattutto la visione sarcastica e per niente appacificata del mondo esterno. Llewyn Davis, a cui offre il volto e il canto un ottimo Oscar Isaac, è un giovane che non vorrebbe seguire la strada paterna - un marinaio ormai in pensione - ma vivere grazie alla musica folk. E nella prima scena lo vediamo cantare 'Hang Me, Oh Hang Me' (letteralmente: 'Impiccami, oh impiccami') al Gaslight, uno dei locali del Village newyorkese dove i nuovi talenti cercavano il proprio pubblico. Inizia qui una specie di «odissea» in miniatura di cui capiremo le corrette coordinate cronologiche solo alla fine del film, quando lo rivedremo esibirsi alla chitarra e cantare la stessa canzone, quando capiremo perché un «conoscente» lo aspetta fuori per riempirlo di botte e soprattutto quando scopriremo che dopo di lui si esibisce un altro «sconosciuto» che canta 'Farewell' accompagnandosi con una chitarra ma anche con un'armonica a bocca e ha una curiosa zazzera di capelli riccioluti, oltre a un profilo destinato a diventare famoso... Un cerchio narrativo che assomiglia di più a una spirale, dentro cui vediamo Davis precipitare ogni momento un po' di più: una specie di maledizione kafkiana (...). A questo punto sarebbe un torto dire che il personaggio reale a cui Llewyn Davis rimanda sia Dave Van Ronk, la lettura della cui autobiografia 'Manhattan Folk Story' (...) ha fatto scattare nei fratelli Coen l'idea di questo film. Piuttosto quell'artista, «colonna portante della rinascita folk degli anni Sessanta, autore e arrangiatore raffinato» ha aiutato i due fratelli registi a dare forma cinematografica alla loro passione musicale, che aveva già avuto modo di estrinsecarsi nel 2000 con 'Fratello dove sei?' (centrato però soprattutto su sonorità bluegrass e gospel). Una passione che in 'A proposito di Davis' è stata poi declinata con quella malinconia fatta di disincanto e di sarcasmo che sta diventando l'autentico segno di riconoscimento dei Coen. Perché le grigie e fredde giornate newyorkesi (con una indimenticabile parentesi a Chicago in compagnia di un «wellesiano» John Goodman) durante le quali Davis cerca invano un po' di comprensione - familiare, sentimentale, musicale o solo alimentare fa poca differenza - diventano pian piano le stazioni di una labirintica via crucis laica, dove tutto e tutti sembrano remare contro. I ricchi amici ebrei che non rispettano la sua «arte», il vecchio padre che riesce a malapena ad articolare un mezzo sorriso dopo aver sentito il figlio dedicargli una canzone, la sorella che si preoccupa solo di difendere le orecchie del figlio dal suo parlare colorito, l'amica incinta (una Carey Mulligan in un geniale contro-ruolo) che gli rovescia addosso tutto il suo disprezzo, l'amico cantante (Justin Timberlake) che compone canzoni orecchiabili solo per cercare il successo... E via di questo passo, in un mondo dove la passione e l'entusiasmo sembrano aver perduto ogni significato e tutto sembra andare a rotoli. Per ritrovarsi alla fine esattamente all'inizio, come se nessuno sforzo e nessuna scelta potesse davvero cambiare il proprio percorso. Mentre l'elegante e raffinato disincanto dei Coen si ingegna a rendere ironicamente divertente il destino di un eterno sconfitto." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 3 febbraio 2014)

"Joel e Ethan Coen, originari del Minnesota proprio come Bob Dylan, rendono maggio al Menestrello fin dal manifesto del loro film 'A proposito di Davis'. Che cita la copertina di 'Freewheelin', suo secondo album (1963) e primo contenente solo sue composizioni, tra queste 'Blowin 'in the Wind'. Stesso sfondo di una strada del Village, stesse auto datate anni 50, in ambedue i casi un giovane uomo scapigliato che cammina stretto nella sua giacchetta sportiva malgrado il freddo inverno newyorkese. Ma mentre Bob avanza abbracciato a una ragazza, Oscar Isaac - l'attore e cantante che interpreta il personaggio di Llewyn - tiene una custodia di chitarra in una mano e regge un gatto nell'altra. I due quasi infallibili fratelli (hanno mai sbagliato un film?) rivolgono la loro premurosa attenzione a una storia, a un clima, a un ambiente che probabilmente oggi solo un manipolo di cultori conosce o ricorda. Il Greenwich Village newyorkese dei piccoli caffè e club che ospitavano le esibizioni di quei giovani cantanti e musicisti, dei quali per la maggior parte non è rimasta traccia, che avevano animato il revival della tradizione folk americana negli anni 50. Il punto di riferimento ispiratore, liberamente, è nella figura del folk-singer Dave Van Ronk e nella sua biografia scritta dall'amico giornalista Elijah Wald. Hanno concentrato l'attenzione su un trascurabile episodio, quello del cantante che viene picchiato nel vicolo dietro un locale, e sono partiti da lì per costruire la loro storia usando quell'episodio come partenza e arrivo di un viaggio circolare. Un viaggio che accompagna pochi giorni nella vita di un cantante folk puro (ma forse, anche, non così dotato come crede di essere), che vuole essere molto rappresentativo del dilemma morale che faceva inorridire molti come lui di fronte all'eventualità di commercializzarsi, nell'anno 1961. Lo stesso anno che, con l'apparizione e la prima esibizione in pubblico di Bob Dylan ventenne - sbarcato a New York per conoscere il suo idolo Woody Guthrie - avrebbe segnato uno spartiacque e un passaggio epocale poi culminato con la rottura tra Dylan, diventato intanto una popstar, e il movimento politico-artistico folk tradizionale. Anche se questa dei Coen non è un storia strettamente biografica ma d'invenzione, essi hanno scelto uno stile e una via molto filologici. Hanno voluto che il film rispettasse rigorosamente alcuni canoni nelle scelte musicali. Hanno voluto molte esecuzioni integrali, eseguite dal vivo. Impegnando a fondo i principali interpreti (...) Figure e figurette che affollano il film, dal 'vecchio' jazzista drogato di John Goodman al manager di Murray Abrahams all'irresistibile coppia del vecchio impresario imbroglione con la sua attempata segretaria (molto woodyalleniani), pescano tutte nel bagaglio reale. Per comporre un quadro nostalgico, affettuoso, malinconico, la fotografia di un passaggio d'epoca. Che, lasciando dimenticare innumerevoli destini di ambizione delusa, avrebbe introdotto gli 'anni 60' così come si sono poi imposti universalmente. Occhio all'ultima scena nel club, a chi di sfondo sale sul palco e comincia a suonare e cantare con quella voce che avrebbe segnato per sempre l'immaginario globale..." (Paolo D'Agostini, 'la Repubblica', 5 febbraio 2014)

"(...) il protagonista Llewyn Davis (Oscar Isaac, super) incarna il cantautore folk Dave Van Ronk, uno che ispirò tanti - Bob Dylan su tutti - ed ebbe poco. Insomma, il suo non-biopic gli è fedele: una chicca per chi sa intendere. Siamo nel 1961, la scena è quella folk del Greenwich Village: Dylan è da venire, ma c'è chi lavora per lui, Dave Van Ronk. Non perdete l'autobiografico 'Manhattan Folk Story' (BUR), che ha ispirato il film: Dave è morto nel 2002, alla 'damnatio memoriae' ci aveva pensato lui stesso, Joel ed Ethan ci hanno messo una pezza di valore. (...) Llewyn Davis è un perdente di successo (non commerciale), è molto bravo ma è troppo avanti, non vende, perché non sa, non vuole vendersi. Dunque, si lascia vivere, laddove la gente si spertica per il folk cheesy di Jim (Justin Timberlake, bravo) e Jean (Carey Mulligan, principesca, anche nel turpiloquio), due amici di cui occupa il divano. Non è l'unico: un giaciglio si scrocca a sorelle, professori, mentre la sconfitta esistenziale 'guida' tra gravidanze indesiderate, gatti di nome Ulisse (siamo dalle parti di 'Fratello, dove sei?', con il folk per il bluegrass), vicoli ciechi newyorchesi e 'on the road' direzione Chicago, con al volante il Dean Moriarty di Walter Salles (Garrett Hedlund) e dietro un folk singer eroinomane (John Goodman), che il buco è sempre d'artista. Ancora una volta, la meta è il viaggio, diversamente da una volta, la tela si disfa e basta, con i Proci (Jim & Jean) si tenta l'amicizia, e l'Odissea frulla club, impresari e il mutismo elettivo di Llewyn: non sa dirsi, non sa comunicare chi è e quanto vale. Eppure, le premesse da dramma piagnone, vittimista e contrito non finiscono sullo spartito: 'A proposito di Davis' ride e fa ridere, non di Llewyn, ma con lui. Se lo spettatore ha le braccia legate né Davis reclama abbracci, l'empatia non è per il personaggio, ma per il mood, la spinta non contro il sistema, ma perché l'alternativa sappia cogliere l'X Factor non davanti alla tivù, ma dal bancone di un club male illuminato, per niente pubblicizzato, dove due metri più in là il nuovo Van Ronk suona e canta inatteso. Utopia? Forse. Necessità? Certo. E allora carta bianca ai Coen, che spiegano le vele ai rovelli artistici e i tormenti auto-riali senza magoni poetici, con intenti autoironici e contributi eccellenti: fascinosa fotografia di Bruno Delbonnel (l'abituale Roger Deakins salta un giro, no regrets), scenografia e costumi al top (sembra di essere lì, al Village di 50 anni fa), soundtrack curata dal grande T Bone Burnett ('Fratello, dove sei?' e, ora, la serie 'True Detective'), con Farewell del menestrello di Duluth e Green, Green Rocky Road di Van Ronk. Dylan il suo bel biopic l'ha avuto ('I'm Not There'), Van Ronk l'ha ora: l'allievo acclamato e il misconosciuto maestro, pari e patta, il cinema al centro. E Nostra Signora della Perpetua Tombola, così era 'intitolata' la scuola di Dave, a vegliare sul suo genio postumo." (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 6 febbraio 2014)

"L'ispirazione viene da 'Manhattan Folk Story' (BUR), interessante raccolta di memorie (a cura di Elijah Wald) del cantante-chitarrista newyorkese Dave Van Ronk che, pur non avendo mai conquistato la fama del collega e amico (almeno della prima ora) Bob Dylan, è considerato uno dei pionieri del rinnovamento del folk. Ma 'A proposito di Davis' dei Coen è tutt'altra cosa dal libro. E' un film personalissimo dove lo spaccato di certa scena culturale e politica del 'Village' è come alluso, o meglio sublimato a livello di atmosfera, di temperie d'epoca tramite un sotteso tessuto di rimandi (Kerouac, Capote); è una commedia nera giocata nel registro kafkiano congeniale agli autori e popolata dei loro tipici personaggi: a partire dall'inesistente musicista del titolo, il quale più che a Van Ronk somiglia a Barton Fink. La prima immagine è un microfono, poi nel campo visivo entra il volto di un giovane barbuto che accompagnandosi con la chitarra canta la struggente 'Hang Me, Oh Hang Me'. Siamo nell'inverno 1961, il luogo è il 'Gaslight Café' - storico locale del Greenwich che ora non c'è più - e il tizio in questione è Llewyn Davis, di cui ci apprestiamo a seguire i vagabondaggi (...). Usando uno schema circolare (la fine coincide con l'inizio), i Coen imbastiscono il film in soggettiva sull'inquieto girare a vuoto del protagonista - a un certo punto con l'ingombrante compagnia di un gatto che dovrebbe riportare ai proprietari - cosicché la nota dominante è quella onirica (bella fotografia di Bruno Delbonnel). In ogni caso il quadro resta costantemente irradiato dalla scontrosa umanità di Llewyn che Oscar Isaac (nominato ai Golden) incarna con padronanza e sensibilità, interpretando lui stesso brani d'epoca arrangiati dal grande T Bone Burnett. In Usa il film ha avuto un'uscita di nicchia ed è entrato in gara per gli Oscar solo in due categorie minori, però per molti (fra cui noi) è uno dei migliori titoli della stagione." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 6 febbraio 2014)

"Una produzione perlopiù europea (StudioCanal) ma su un soggetto americanissimo. Stregato dal fantasma di Bob Dylan (un ebreo del Minnesota come Joel e Ethan Coen, che hanno definito la copertina del disco 'Freewhilin' Bob Dylan' una delle ispirazione visive del film), 'A proposito di Davis' è anche uno dei lavori più dolci, meno graffianti dei due fratelli. Evocando la costruzione omerica e la passione musicale di 'Fratello, dove sei?' ma anche l'andamento circolare classico del racconto ebraico di 'A Serious Man', i Coen, coadiuvati dal produttore T. Bone Burnett (con loro anche in 'Fratello...') rivisitano la scena folk del Village newyorkese anni sessanta, pre-Dylan, quando piccolo gruppi e musicisti solitari, nei caffè tra Washington Square e Houston Street, comunicavano tra di loro a forza di vecchie canzoni, un esoterico linguaggio segreto ancora impenetrabile per i talent scout delle case discografiche che entro pochissimo avrebbero scoperto, oltre a Dylan, future star del genere, come Peter Paul and Marye Phil Ochs. 'A proposito di Davis', si svolge in un periodo che va tra il gennaio 1960-gennaio 1961 precisa, nelle note che accompagnano il film, Elijah Wald, coautore del libro 'The Mayor of McDougal Street', da cui è tratto. Il «sindaco» del titolo, e l'uomo la cui storia e musica hanno ispirato i Coen, è il musicista Dave Van Ronk, che sullo schermo diventa Llewyn Davis e ha le sembianze oltre che la voce molto bella, di Oscar Isaac. (...) Il deadpan freddo dei Coen (qui dilatato al massimo) e la conflittualità naturale del personaggio si ammorbidiscono quando Llewyn canta (alcune delle canzoni più famose di Rank). «Volevo che la sua anima si esprimesse attraverso la musica. Llewyn ha un rapporto irrisolto con il successo», ha detto Isaac alla conferenza stampa che ha seguito la prima mondiale del film, a Cannes, il maggio scorso. E, in effetti, quando canta/suona sembra rivolto più di tutto a se stesso. Esaurite le sue chance newyorkesi, Llewyn espande l'odissea fuori città, portandola on the road, nella parte più bella e surreale, del film (la fotografia, desaturata in una palette di grigi bruni e Verdi spenti è dall'operatore del 'Faust' di Sokurov, Bruno Delbonnel): un viaggio verso il Midwest ghiacciato in compagnia, oltre che del solito gatto, di Garret Hedlund e di John Goodman, blues/jazzman fattissimo, che cammina a malapena. (...) Sfigato o no, il destino di Llewyn è in quei fumosi locali del Village." (Giulia D'Agnolo Vallan, 'Il Manifesto', 6 febbraio 2014)

"Struggente ballata su uno dei personaggi più poetici (e perdenti) tra quelli celebrati dai fratelli Joel ed Ethan Coen: 'A proposito di Davis', vincitore del Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes 2013 e in corsa per due Oscar, racconta la storia di un cantante folk (interpretato da Oscar Isaac) che cerca la propria strada e un'occasione nel mondo musicale del Greenwich Village nel 1961. All'epoca, sulla scena newyorkese non c'era ancora Bob Dylan e prosperava il folk revival, tra piccoli club e azzardate case discografiche. Il film ripercorre una settimana di vita del cantante, Llewyn Davis, con la sua piccola Odissea tra audizioni fallimentari, delusioni artistiche e intrighi sentimentali. (...) I Coen mettono il giovane cantante folk davanti a un bivio, mentre cerca faticosamente di farsi strada nel mondo musicale del Greenwich Village, straripante di musica (suonata dal protagonista, da Marcus Mumford e dai Punch Brothers) (...) Indimenticabili le note blues della sua chitarra mentre canta con voce angelica 'Hang Me, Oh Hang Me': Isaac riesce a far innamorare lo spettatore di un personaggio indifeso e, almeno sulla carta, improponibile. Così, Davis entra trionfalmente nella galleria di quei personaggi che appartengono alla categoria più fragile e più bella tra quelli creati dai Coen, come Barton Fink o Larry Gopnik. Con questa pellicola, i due registi celebrano l'arte, la musica con la sua industria, ma anche il cinema, con la consueta ironia e un rinnovato cinismo. Ispirato in parte al memoir del folk singer Dave Van Ronk, soprannominato «The Mayor of MacDougal Street» (il sindaco di MacDougal Street) e amico di Bob Dylan, il film è ricco di citazioni, arguto, divertente, originale e profondamente struggente. I Coen si ispirano ad un grande artista che non ha avuto la (meritata) popolarità: a causa della sua carriera molto sfortunata, rimase fuori dai grandi palchi, anche se è poi rimasto ben presente nella memoria di tutti i protagonisti della musica folk degli ultimi quarant'anni ed è scomparso nel 2002. Nel racconto non mancano grandi citazioni: i due cineasti si rifanno al Woody Allen di 'Broadway Danny Rose' rievocando in modo giocoso e con grande eleganza un classico come 'Colazione da Tiffany'." (Dina D'Isa, 'Il Tempo - Roma', 6 febbraio 2014)

"Sono un po' fanatici, si sa, ma per una sequenza, un'inquadratura, uno sguardo i cinefili possono anche delirare. Si dovrà peraltro assolverli qualora il fenomeno - tante volte provocato dai film dei Coen e massimamente da 'Fargo', 'Il grande Lebowski', 'L'uomo che non c'era' - assuma cadenze parossistiche al cospetto dell'ultimo arrivato, lo struggente e stralunato 'A proposito di Davis' ('Inside Llewyn Davis'). Il tratto dei fratelli cineasti sta, infatti, nell'assoluta leggerezza e l'altrettanta profondità con cui si rievocano snodi storici, s'indagano caratteri, si evidenziano sfumature nei rapporti tra i personaggi e si sparge humour nero senza ricorrere ai grimaldelli del moralismo o del cinismo. Nel caso in questione, poi, la composizione sarebbe sin troppo ricercata - il protagonista non è un eroe e neppure simpatico e la trama non include episodi eclatanti - se non intervenissero, appunto le cesellature, le ellissi, i salti di tono, le interpretazioni formidabili (compresa quella del magnifico soriano che allude all''Ulisse' di Joyce con felina nonchalance), la scenografia e la fotografia anch'esse «recitanti» e l'ordito musicale - tessuto da una leggenda vivente come T-Bone Burnett - che fanno scorrere fluidamente questo film che non ricrea il '61, ma sembra girato nel '61 su una scala mobile di sogni e nostalgie perdenti, atti gratuiti e uppercut del destino, dignità guadagnate e occasioni mancate. Ispirato alla figura del folksinger Van Ronk, fermatosi sulla soglia del successo per un tipico mix d'arroganza e accidia, Davis (Isaac) vaga senza cappotto nel gelido febbraio del Greenwich Village, dorme dove capita, subisce ferocissimi insulti dall'ex fidanzata, bussa a soldi dal decrepito agente, sproloquia a destra e manca, suona per il padre demente, si esibisce al Gaslight Café gestito da... Pappi (Corsicato fa parte del clan Coen), perde il gatto dei lunari amici intellettuali dell'Upper West Side e viaggia nel tentativo di farsi produrre un disco fino a Chicago sull'auto di un jazzista eroinomane (il sempre straordinario Goodman) e il suo teppistico compare. La ballata del fallimento che non riconosce strenuamente d'esserlo gira non a caso in tondo e - in capo a 105 minuti di raffinatezza picaresca senza pari - ci suggerisce che il circolo vizioso della vita è in qualche modo ineludibile anche se non ti chiami Davis e non c'è un Bob Dylan a spingerti nel limbo dei dimenticati." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 6 febbraio 2014)

"(...) siamo così innamorati di questo nuovo film dei fratelli Coen che non vogliamo perdere nessuna occasione per spingervi a vederlo. Non che ce ne sia bisogno: fin dai primissimi lavori ('Blood Simple', 'Arizona Junior') Joel e Ethan hanno un discreto seguito nel nostro paese. Ma 'A proposito di Davis' è uno dei loro film più personali, profondi e riusciti, pur nella leggerezza del tono. Insomma: uno dei loro capolavori. Il Davis del film è Llewyn Davis, folk-singer che nel 1961 si arrabatta per salvaguardare la propria integrità artistica nei locali del citato Greenwich Village, a Manhattan. Nessuno dei tanti cantanti che eseguono brani folk in quell'enclave culturale è ricco: tutti si arrangiano, tutti inseguono vanamente un contratto discografico o un ingaggio, molti - e il nostro eroe fra loro - dormono dove capita e mangiano quando capita. Llewyn, per di più, sembra una calamita di guai (...). Toccante ritratto della scena folk anni '60, 'A proposito di Davis' è divertente e commovente, sprizza genialità da ogni poro. Se amate Dylan e i folksingcr Usa, è il film della vostra vita. Se non li avete mai ascoltati, è il momento di cominciare." (Alberto Crespi, 'L'Unità', 6 febbraio 2014)

"Nella galleria di perdenti mirabilmente tratteggiata, nella loro carriera, dai Coen, non ci si può sottrarre dal consegnare al loro ultimo nato, Llewyn Davis, un posto speciale. Siamo nel '61, in quel Greenwich Village che tanto ha dato al folk, anche se l'ambientazione precede quel vagito con il quale Bob Dylan cambiò un certo modo di fare musica. Llewyn è un musicista di talento ma è incompreso, è malinconico ma poco socievole, vaga da un divano all'altro cercando di sfuggire a una sfortuna che non lo vuole lasciar stare. (...) La scena più malinconica ed esemplificativa, in pieno stile Coen, è quella nel quale il protagonista, armato solo della sua chitarra, canta al possibile produttore la sua ballata struggente, sentendosi rispondere che con una simile roba di soldi non se ne fanno. La storia musicale dirà l'opposto, ma è chiaro il messaggio che Joel & Ethan lanciano su un certo modo di fare industria, quasi identificandosi con il destino del protagonista di questa Odissea in salsa americana. Il film finisce nello stesso vicolo da dove è partito, quasi a voler sottolineare la circolarità beffarda di certi destini che, come il Monopoli, ti fanno passare ineluttabilmente sempre dal via. Oltre a quella di Llewyn Davis, ottimamente restituita da Oscar Isaac, il film è un intelligente coacervo di figure indimenticabili, pur con rapide apparizioni nella storia. Colonna sonora da brividi, humor nero e pura poesia. I Coen al loro massimo splendore." (Maurizio Acerbi, 'Il Giornale', 6 febbraio 2014)

"Piacerà ai fans dei fratelli Coen, ma non solo a loro. Noi che i fratellacci li abbiamo sempre amati a corrente alternata (la grande stima non ci ha mai impedito di dire e di scrivere che quasi metà dei loro film, da 'Ladykillers' a 'A serious man' è da sei meno meno) siamo rimasti intrigati da questo ritratto di perdente, che perde tutte le battaglie, ma le combatte fino all'ultimo. A differenza di altri loro personaggi di 'losers' i Coen amano dannatamente il loro Davis, simpatizzano nonostante l'esteriore mancanza di simpatia di Lewyn. Simpatizzano col suo indomabile arrabattarsi in un mondo che lo rifiuta e che magari non lo rifiuterebbe in altri momenti, in altre circostanze. Davis arriva al Greenwich prima che esploda la moda del Greenwich e il Village è solo luogo di bassa boheme. Sta per sfondare con un duo e il partner muore. Tenta di sfondare da solo, e non sa che per sfondare dovranno passare 10 anni. L'amore gli passa vicino, ma lui perde entrambi gli autobus (perché troppo immaturo prima e troppo incasinato dopo). Pure, la sua musica è bella, oh se è bella, non è mai stata così importante in un film dei Coen, che pure spesso si sono fatti accompagnare da memorabili colonne sonore. A prenderla in un'altra maniera la storia poteva venir fuori come l'ennesimo, penoso melodramma di genio e sregolatezza. Qui, ti succede che entri al cinema convinto che Van Ronk sia stato solo un Dylan dei poveri, ma ne esci persuaso che sia Dylan un Van." (Giorgio Carbone, 'Libero', 6 febbraio 2014)

"Anno 1961. Luogo: il Village di New York, prossima culla della Beat generation. Ma è ancora presto. Sulla vecchia foto due giovani musicisti, infreddoliti e arruffati. La cinepresa di Joel e Ethan Coen (fratelli cineasti vincitori di una Palma d'oro a Cannes e quattro Oscar) glissa sul ricciolino a sinistra, destinato un giorno a diventare famoso nel mondo con il nome di Bob Dylan. L'obiettivo si fissa sull'amico accanto, Llewyn Davis, ragazzotto con barba e volto stropicciato dalla vita: un sicuro perdente. Nella realtà, quel musicista che non ebbe un briciolo del successo di Bob Dylan si chiamava Dave Van Ronk. I Coen han cambiato il nome, ma storia e irripetibili atmosfere sono reali. Artista integerrimo, Llewyn è un cantante folk che non mira ai soldi, ma a far conoscere le sue canzoni al pubblico. Risultato? Pasti saltati, ospitalità in letti amici, derisioni, amori finiti, odissea nel gelo della metropoli senza cappotto e con il gatto sotto braccio. Se canta è folgorante, ma troppo avanti sui tempi. Classico antieroe, ritratto dai Coen con una straordinaria capacità di far riassaporare gusti e atmosfere anni '60. Oscar Isaac bravo protagonista. Grand Prix al Festival di Cannes e due nomination agli Oscar." (Maurizio Turrioni, 'Famiglia Cristiana', 9 febbraio 2014)

"I Coen sono sempre i Coen, anche quando non fanno il botto. Stavolta si tuffano nel Greenwich Village del 1961 per seguire le bizzarre peripezie di uno sfigato cronico, Lewyn Davis, cantante e chitarrista folk di puntuale insuccesso. Vagabonda qui, dorme là, fidando nell'ospitalità degli amici, tra un gatto arancione e una ragazza indecisa. Una tenera, stralunata commedia sul filo della nostalgia, con una splendida colonna sonora e un magnifico Oscar Isaac." (Massimo Bertarelli, 'Il Giornale', 13 febbraio 2014)