The Program

- Regia:
- Attori: - Lance Armstrong, - David Walsh, - Dott. Michele Ferrari, - Floyd Landis, - Frankie Andreu, - Bill Stapleton, - Johan Bruyneel, - Bob Hamman, - Emma O'Reilly, - Chris Hamman, - John Lelangue, - Charles Pelkey, - Wayne, - Christophe Bassons, - Tony, - Alberto Contador, - Lisa Shields, - Kristin Richard
- Soggetto: David Walsh - (libro)
- Sceneggiatura: John Hodge
- Fotografia: Danny Cohen
- Musiche: Alex Heffes
- Montaggio: Valerio Bonelli
- Scenografia: Alan MacDonald
- Arredamento: Gabriella Villarreal
- Costumi: Jane Petrie
- Effetti: Neil Toddy Todd, Adam Gascoyne, Union VFX
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Altri titoli:
L'ultima leggenda
The Program - Um jeden Preis
The Program - L'ultima leggenda - Durata: 103'
- Colore: C
- Genere: BIOGRAFICO, DRAMMATICO, SPORTIVO
- Specifiche tecniche: RED EPIC, REDCODE RAW
- Tratto da: libro "Seven Deadly Sins: My Pursuit of Lance Armstrong" di David Walsh
- Produzione: WORKING TITLE FILMS, STUDIOCANAL
- Distribuzione: VIDEA
- Data uscita 8 Ottobre 2015
TRAILER
RECENSIONE
Ascesa e caduta di Lance Armstrong (Foster), ciclista plurivincitore del Tour de France (sette titoli) e responsabile del “più sofisticato programma di doping nella storia recente dello sport”. I primi trionfi nel segno del doping, la vittoria contro il cancro, l’impegno contro la malattia (scudo mediatico per le future malefatte), le confessioni dei compagni di squadra, la pubblica ammissione: a parte Sheryl Crow e Pantani, il biopic di Frears mostra l’Armstrong ben noto allo spettatore, ben lieto di ricordare gli eventi prima che il film li proponga su schermo.
Ma per il resto, il film è un’occasione perduta: soffocati dall’esibizione voyeuristica di flebo e siringhe, e dalla divulgativa necessità di spiegare tutto coi dialoghi, Frears e lo sceneggiatore John Hodge badano più alla ricostruzione di facciata e alla somiglianza fisica dei personaggi che a mollare un significativo pugno allo stomaco dello spettatore. Il vero dramma sportivo di Armstrong è un dilemma etico: quanto è sbagliato vincere barando, se con le mie vittorie posso far bene a milioni di persone? Dilemma che il film, privo di empatia nei confronti del suo antieroe protagonista, rifiuta sistematicamente di affrontare.
NOTE
CRITICA
"(...) nella parabola del ciclista che vinceva tutte le corse perché aveva le arterie gonfie di Epo, Stephen Frears ha vito qualcosa di faustiano che rende Armstrong un perfetto eroe dei nostri tempi. (...) Trascinando nella polvere quel campione di impostura che Frears e i suoi attori (poderoso Ben Foster, un Kevin Spacey su due ruote) giocano apertamente sul filo dell'iperbole, anche grazie a uno stile insieme freddo e survoltato che dà le vertigini. Con tutta questa storia incredibile ma vera. E sinistramente esemplare." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 8 ottobre 2015)
"Si contano sulla punta di poche dita i film sul ciclismo, in parte perché è uno sport prevalentemente europeo, in parte perché è considerato - a ragione o a torto - meno cinegenico di altri, come la boxe o l'automobilismo. A Stephen Frears, però, non interessava tanto fare un film sulle gare in bici, quanto piuttosto sullo scarto (ben presente nello sport) tra ciò che appare e ciò che è reale e sulla manipolazione dell'opinione pubblica: un po' come accadeva in 'The Queen - La regina', che resta uno dei suoi titoli migliori. Poche altre storie autentiche si prestavano allo scopo quanto quella dell'ascesa e caduta di Lance Armstrong (...). Inoltrandosi dietro le apparenze più edificanti, Frears ci mostra il campione come un uomo carismatico ma ossessionato dalla vittoria, bugiardo, freddo e calcolatore, incline alla collera e alle minacce contro chi (in particolare i gregari che gli tiravano la volata) solo accennasse a opporsi alla sua volontà. Dunque il film è l'esatto opposto di quel 'biopic' che, all'epoca, Hollywood progettò a maggior gloria del corridore, e che non fu mai realizzato. Lo schema drammatico prevede un deuteragonista nel personaggio di David Walsh, il cronista sportivo che indaga sul caso di dopaggio nella convinzione che il suo dovere professionale sia difendere l'integrità del ciclismo. (...) Si può riconoscere (...) che Frears (pur usando una regia dinamica nelle sequenze di corsa) faccia prevalere la dimostrazione sull'emozione. Però ciò avviene in base a un partito preso ben consapevole e il suo è un film quasi didattico, che si dovrebbe mostrare nelle scuole per far comprendere i meccanismi della produzione di miti (sportivi e no) e la loro funzionalità all'ideologia dominante." (Roberto Nepoti, 'La Repubblica', 8 ottobre 2015)
"In apparenza documentaristico, 'The Program' di Frears in realtà ci porta dietro le quinte, laddove nessuna macchina da presa è mai entrata, della carriera di Lance Armstrong (...) il film disegna il ritratto dell'Armstrong di facciata con la sua ferra disciplina, la sua grinta a rimettersi dal cancro; e dell'Armstrong sotto la maschera che non esita a iniettarsi droghe e barare nei test di controllo. (...) grintosa interpretazione di Ben Foster nei panni del campione." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 8 ottobre 2015)
"Piacerà a chi come noi sostiene che Frears fa bene tutto quello che fa (...). Qui ha trovato la chiave giusta costruendo l'impalcatura sul libro 'Seven Deadly Sin' di David Walsh. Ovvero come si sbriciola un mito in sette capitoli. memorabile Guillaume Canet come boss del doping."(Giorgio Carbone, 'Libero', 8 ottobre 2015)
"Frears ripercorre la brutta pagina di sport in modo, a volte, didascalico e con alcuni personaggi trasformati in macchietta. Poco male. L'operazione ha il pregio di raccontare la sfida di un uomo che ha provato, barando, a vincere i suoi limiti fisici." (Maurizio Acerbi, 'Il Giornale', 8 ottobre 2015)